°Capitolo 1° [Prima Parte]

137 11 7
                                    

Caro diario,

Ricordo bene quel primo aprile del 1890.

Mi trovavo nell'ufficio del signor Johnson, all'interno del Revival Palace, lo studio giornalistico più importante di Maryland, ad Annapolis. 

Era una giornata come le altre: il sole spaccava le pietre, ma regnava il vuoto.
Addirittura gli uccellini avevano smesso di cantare come se si fossero arresi di fronte alla loro impotenza. Si respirava la solita impassibilità in ogni cosa, era tutto piuttosto monotono e silenzioso.

Nulla sembrava preannunciare ciò che sarebbe successo di lì a poco.

Il signor Johnson mi guardò con un'espressione impenetrabile, senza significato.

Come quando durante le lezioni di matematica ti spiegavano per la prima volta lo studio di funzione e tu, incapace di comprendere perché abbiano deciso di mischiare lettere e numeri, ti perdi nella scritta "log" e cerchi di trovargli quanti più significati possibili.
Così era il signor Johnson.

Un'uomo robusto, poco più di una cinquantina di anni, lineamenti ben definiti, volto scolpito. Molto probabilmente un bellissimo ragazzo da giovane, ma il suo volto ormai spento aveva perso ogni vitalità.

Mi diede un ultimatum utilizzando frasi che sembravano prestabilite, come se qualcuno gli avesse ordinato di farlo e lui, incapace di provare emozioni e sentimenti, vi ubbidisse senza esitazioni.

"Hai un nuovo progetto, fallisci e sarai licenziata".

Un brivido gelido mi attraversò in corpo, mi crollò il mondo addosso, ero pietrificata, come se quella frase mi avesse ammutolita facendo nascere in me la possibilità, fino a quel momento remota, di perdere una parte di me, la mia ragione di vita, il giornalismo.

L'orologio batteva le undici, ero tornata alle prese con le mie solite mansioni, ma mi mancava ancora il respiro.

Per un'ora intera non smisi di pensare e ripensare a quelle suggestionanti parole, poi però mi soffermai sulla prima parte di quella frase che era ormai entrata nel dimenticatoio:"Hai un nuovo progetto".

Negli ultimi dieci anni mi ero occupata solo di documenti, contabilità, mezze falsificazioni, correzioni, design e ogni tanto qualche articolo ma nulla di rilevante.
Se questo fosse stato un progetto per cui sarebbe valsa la pena licenziare qualcuno doveva essere qualcosa di alquanto considerevole.

Soltanto un'ora dopo avrei avuto uno degli incontri più significativi della mia vita. Avrei dovuto incontrare l'editore del progetto all'interno di un bar che distava circa trenta minuti dall'ufficio.

Erano le undici e un quarto, uscii a passo svelto evitando di guardarmi intorno come per sfuggire a qualsiasi tipo di distrazione e schivando qualsiasi oggetto, aggirando ogni persona mi si presentasse dinnanzi.
Tutto ad un tratto ero tornata bambina: curiosa, entusiasta, ingenua e precipitosa. Quell'idea mi entusiasmava, mi persi nei lontani ricordi della mia infanzia.

Non è che raffiorasse molto della prima età, l'unica scena che rammentavo, e dalla quale partivano tutti gli altri ricordi, aveva come sfondo un oceano. Avevo 3 anni ed ero su una barca colma di persone sballottata qua e là dalle onde del mare con in braccio una bambina molto più piccola di me, ma c'era qualcosa, un frammento, che non riuscivo a ricostruire, qualcosa di fondamentale che avevo perso nei meandri della memoria, che non riuscivo ad estrapolare dalla mia mente.

Mi ritrovai seduta su una panchina rivolta verso un isolato parco giochi gremito di bambini.

Una bimba stava giocando con delle bolle di sapone, la osservai quasi stupita.

Mi fermai a riflettere.

Guardai quelle stupefacenti sfere traslucide fluttuare nell'aria riflettendo tutti i colori dell'arcobaleno. Trasmettevano pace, serenità. Poi ad un tratto scoppiavano lasciando solo poche gocce di sapone che cadevano dolcemente a terra.
Rappresentavano alla perfezione la vita, i sogni, le speranze, le certezze.

Il Frammento Perduto Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora