°Capitolo 12°

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Mi svegliai accompagnata da una piacevole sensazione di serenità e pace interiore dovuta non solo alla recente scoperta del mio passato, ma soprattutto a Mike.
Non sapevo come o perché anche solo ripensare a lui mi faceva stare bene, ma era un dato di fatto, come quelle formule matematiche che alle superiori davi per vere pur non constatando alcun tipo di prova.

Quel giorno dovevo andare in ufficio, ma insolitamente non ne avevo voglia.
Era strano perché il giornalismo da circa tredici anni era il fulcro della mia esistenza, la mia passione (non avevo altri interessi e, durante la dittatura, era sentitamente sconsigliato averne), ma ora non ne sentivo più il bisogno.

Decisi istintivamente di chiedere al signor Johnson un breve periodo di pausa dal lavoro.
Da tredici anni ogni giorno, apparte la domenica e alcuni giorni festivi, ero impegnata dal lavoro e non avevo mai pensato di chiedere qualche giorno per staccare un po'.
Il signor Johnson si dimostrò, a modo suo, sorpreso: questo repentino cambiamento lo confuse, ma era un mio diritto.

Decisi di tornare in quel piccolo angolo di paradiso che mi fece scoprire Mike, mi misi a sedere e iniziai a riflettere.

Guardai quell'isola, così lontana.
Realizzai la mia volontà di salpare per la Nigeria insieme a Jamila ed Amelie e ritrovare le nostre origini.
Era un'idea assurda quanto irrealizzabile, ma in quel momento mi sembrò più che possibile.

Amelie mi chiese se potevo andare a casa sua per parlare quel pomeriggio.
Il suo appartamento era situato al quinto piano di un grande palazzo in pieno centro della città.
Tutto era estremamente silenzioso, le persone camminavano a testa bassa, nessuno parlava, nessuno sorrideva.

Com'era alto quel muro di impassibilità!

Mi resi conto di quanto fosse urgente pubblicare il progetto prima che tutte quelle persone diventassero robot: pezzi di metallo incapaci di provare emozioni.

Entrammo, l'appartamento di Amelie era molto grande, con uno stile moderno, ben diverso dal rifugio di Jamila.
Tutto era ordinato e non c'erano particolari dettagli, vi erano molte vetrate che permettevano alla luce solare di irradiare le stanze, le pareti erano bianche ed erano in perfetto contrasto con i mobili color legno.

Sai", confessò,"avevo paura che il regime mi avesse fatto dimenticare l'amore che ho provato per Jack, ma solo dopo averne parlato con te mi sono resa conto di quanto io abbia ancora bisogno di lui nonostante siano passati molti anni.
Voglio ritrovarlo Julia, voglio ritrovare quel frammento di vita che mi feci scivolare via da quel maledetto terremoto, voglio ritrovare Jack, so che è ancora vivo, ne sono convinta".

Ero confusa, preoccupata, come avremmo potuto ritrovare una persona a distanza di molti anni senza avere nessuna traccia o certezza? Se avessimo fallito? E se fosse morto? Amelie avrebbe potuto reggere un dolore simile?

Decisi di esternare i miei interrogativi.

"Comprendo bene il tuo desiderio, ma non abbiamo appigli, non abbiamo la certezza che sia ancora vivo..."

"Lo so, sarà difficile, ma non è impossibile, e se fosse morto, beh, non mi darei pace, il dolore mi attanaglierebbe, ma poi, grazie a te e a Jamila, sono convinta che riuscirò a superarlo.
Preferisco sapere qualcosa di lui piuttosto che vivere una vita intera con questo permanente dubbio", mi bloccò lei.

Il suo ragionamento era sconclusionato, ma persuasivo, caratterizzato da quella pazzia che provi quando ti innamori, eppure valeva la pena tentare.

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