°Capitolo 53°

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5 Novembre 1891

Caro diario,

La giornata appena trascorsa è stata carica di emozioni contrastanti.

"Non posso crederci", fu la prima espressione di Flynn alla vista del collaboratore di Ambrose.

Si scambiarono molti sguardi carichi di rabbia e dolore, malinconia e repressione, tristezza e rancore.
Accompagnai Flynn a prendere una boccata d'aria mentre Ambrose spiegava la situazione al suo amico.

"Stai meglio?", chiesi.

"No", rispose lui con freddezza.

"Ti va di parlarne?", domandai come per sciogliere quel blocco di ghiaccio che si era venuto a creare.

"No, Julia, non mi va di parlarne", ribatté lui sempre più deciso.

"Conosco quel tuo sguardo, c'è ancora una parte del passato che ti tormenta, sfogarti può aiutare, liberati di questo peso", dissi carica di sentimenti.

"Ho detto che non voglio parlare, non voglio sfogarmi né tantomeno con te", dichiarò lui arrabbiato, "a differenza tua io il passato non lo affronto, lo temo, quindi ora lasciami in pace", concluse tornando al tono freddo di prima.

"Va bene, hai bisogno di stare da solo", risposi delusa.

Tornai da Ambrose che aveva appena terminato di parlare con il suo collega.
Ci disse che avrebbe risolto lui la situazione quanto prima.
Lo ringraziammo e lo congedammo.
Dopo aver congedato anche Ambrose salimmo sul treno di ritorno per Annapolis.
Per qualche ora Flynn rimase in silenzio ed io non avevo la benché minima intenzione di forzare la mano.

"Scusami", sussurrò interrompendo il silenzio.

"Non è successo nulla", risposi.

"Devo ringraziarti", aggiunse, "dopo quello che ti ho detto sei ancora accanto a me"

"Ti conosco troppo bene, era la rabbia a parlare", affermai, "ad ogni modo per qualsiasi cosa io sono qui", conclusi.

"Quello che abbiamo incontrato è mio fratello, si chiama Sean.
I nostri genitori erano nelle forze dell'ordine e morirono a causa di una violenta manifestazione per i diritti dei migranti.
Sean ed io diventammo ragazzi di strada completamente sommersi dall'effetto di stupefacenti, per dimenticare.
Fino a quando un giorno, insieme ad altri ragazzi come noi, non decidemmo di sbarcare in Nigeria e rivendicare la morte dei nostri genitori uccidendo una coppia di volontari innocenti, i tuoi genitori",confessò, "dopo la loro morte le nostre strade si divisero, per la precisione io scappai da quel vortice che mi stava risucchiando mentre lui vi rimase per anni",concluse con qualche lacrima.

"Ti ringrazio per avermelo detto"

"Non sei arrabbiata?"

"È normale che io sia angosciata, quello che avete fatto è molto doloroso da affrontare, ma tu hai sofferto già abbastanza"

"Julia, so che non potrai mai perdonarmi, ma ti prego di non lasciare che il dolore ti laceri, ti chiedo di farlo non per me, ma per te"

"So come gestire situazioni dolorose, ma grazie comunque"

"Stai bene?"

"Potrei stare meglio, ma passerà", risposi.

Tornammo a casa questa sera, erano le ventidue e Mike stava già dormendo.

"È un addio?", chiese Flynn.

"Chissà", risposi, "forse ci saranno altri guasti", aggiunsi.

Accennò ad un sorriso di complicità.

"Comunque non sparire", ribattei chiudendo la porta.

Tornò alla macchina sorridendo, lo osservai dalla finestra.

"Sei tornata!", esclamò Mike.

"Avevi dubbi?", risposi sorridendo.

"Come stai?"

"Bene, ma potrei stare meglio"

"È Flynn la causa? Se solo si azzarda a..."

"Non preoccuparti Mike", dissi interrompendolo.

Da quando l'ho incontrato dopo sei mesi mi sento di nuovo carica di energie, quando sono con lui mi sento protetta, in sua presenza ogni mia speranza acquista valore.
Mike però non sa nulla di tutto ciò e questo non mi fa stare bene.
È mezzanotte e non sono ancora riuscita a chiudere occhio.
Devo parlare con Mike al più presto, non può continuare in questo modo.

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