𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐮𝐧𝐨

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La maggior parte delle persone attribuiscono al silenzio e alla solitudine un valore negativo.

Tutti sono alla continua ricerca del rumore, delle feste, della compagnia di altre persone per cui magari non si prova un interesse vero. La verità è che la maggior parte delle persone su questa terra non lo fanno tanto per il proprio bene, per essere davvero felici o vivere esperienze indimenticabili, ma lo fanno per mostrare ai propri amici o al proprio ex o a qualsiasi altra persona immaginabile di essere contenti, di divertirsi, di vivere una vita fantastica e di stare bene con quei finti sorrisi, anche se in realtà dentro non è tutto ok.

Ma che senso ha tutto questo? Come si può fingere di stare bene quando in realtà si vorrebbe solo piangere?

Questo pensiero mi tormentava puntualmente ogni domenica mattina quando, dopo il risveglio da parte della mia dolcissima gattina Nux, controllavo il telefono e vedevo quelli che un tempo erano miei "amici" divertirsi nei locali, ridere e fingere che tutto andasse bene.

Ero certa però che la loro non fosse felicità e nemmeno benessere: era una voglia matta e disperata di fuggire dal silenzio e la solitudine che tanto li terrorizzava.

Io invece avevo deciso che proprio il silenzio e la solitudine sarebbero diventati la grammatica del mio respiro e la sintassi della mia anima.

Alla maggior parte dei miei coetanei spaventava l'idea del silenzio e della solitudine di una stanza vuota perché stare da soli con sé stessi era l'incubo peggiore che potessero desiderare. La verità è che nessuno si ama, nessuno dei ragazzi della mia età ama i propri pregi e i propri difetti, nessuno si crede abbastanza e finiamo tutti per odiarci.

A me c'era voluto quel mostro per capire che dovevo portarmi rispetto, c'erano voluti tre lunghi e dolorosi anni di sofferenza per rendermi conto che io prima di tutti dovevo amarmi e non permettere più a nessuno, nemmeno a lui, di usarmi come se fossi stata un oggetto.

Avevo capito che finché non mi fossi rispettata da sola, nessun altro lo avrebbe fatto.

Per essere felice realmente mi bastava la semplicità di ogni singolo attimo e non di certo una storia in cui sorridevo su instagram.

Sì ero sola, avevo perso tutti i miei amici, attorno a me c'era il silenzio, ma mi amavo e la mia gattina, una dei pochi esseri viventi su questa terra che tolleravo, mi dava tutto l'amore di cui avevo bisogno.

Ogni mattina, con la puntualità di un orologio svizzero, si avvicinava cautamente a me e mi svegliava, per modo di dire dato che non c'era mai una notte intera in cui non soffrissi di insonnia o non avessi incubi, dandomi dei teneri baci sul naso ed io mi sentivo subito pronta ad affrontare una lunga giornata che avrei diviso tra lavoro e piccole commissioni nella mia odiata ma allo stesso tempo tanto amata Boston.

«Ciao mia piccola Nux...» sussurrai mentre accarezzavo con delicatezza il pelo nero della mia gatta dagli occhi verdi che mi fissava in attesa del bacio mattutino che puntualmente le davo non appena mi svegliavo.

Dopo averla accontentata, la strinsi a me e rimasi un'altra buona mezz'ora nel letto per farle le coccole dato che quella mattina il turno che dovevo svolgere nella caffetteria in cui lavoravo iniziava a mezzogiorno.

Nel bel mezzo delle coccole però qualcuno aprì bruscamente la porta della mia camera facendomi quasi urlare per lo spavento.

«Sei fuori di testa papà?! Sai cosa vuol dire bussare?» sbottai mentre continuavo a stritolare la mia dolce Nux.

𝐂𝐎𝐋𝐃 𝐀𝐒 𝐈𝐂𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora