𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐭𝐫𝐞

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Stavo seduta in disparte su una sdraio mentre guardavo Niall e gli altri ospiti divertirsi ad una festa che io consideravo esattamente alla pari con una tortura. Mi sentivo isolata in mezzo a tutta quella gente: erano felici, avevano stampato sulle labbra tanti sorrisi e non facevano altro che ridere a battute che io trovavo stupide.

Ero contenta di vedere che Niall stesse meglio, che quella bruttissima tristezza che aveva negli occhi aveva lasciato il posto ad un meraviglioso sorriso, ma lì mi sentivo come un pesce fuor d'acqua: non riuscivo a ridere, a divertirmi, a fingere che andasse tutto bene e bastava guardarmi in faccia per capire quanto fossi seccata di stare lì.

Avrei preferito di gran lunga un piccolo ed intimo festeggiamento in famiglia, una semplice cena tra me, Niall, mio padre, Rachel e zia Barb. La festa che avevano organizzato era estremamente eccessiva e anche abbastanza imbarazzante dato che era stata fatta solo per volere di mio padre e non di Niall.

Da quando ero arrivata lì ero stata assalita da tanti parenti e amici di famiglia che non avevano fatto altro che chiedermi, come avevo previsto, del pattinaggio, del perché avessi smesso, del motivo per cui avessi scelto di stare per tre anni a Los Angeles da mia madre, di cosa stessi facendo al posto di studiare.

Puntualmente mi avevano fatto sentire sbagliata, stupida, in difetto. Anche se zia Barbara mi aveva insegnato a farmi scivolare sempre tutto da dosso in quell'occasione non riuscì a fare finta di niente perché avevano toccato i tasti su cui ero più vulnerabile, più debole e con il fianco scoperto. Erano riusciti a ferirmi sulle uniche cose che mi facevano stare davvero male perché erano cattivi, lo erano sempre stati con me.

Se solo loro avessero saputo...

Ma del resto come potevano sapere che avevo smesso di pattinare perché per anni ed anni il mio allenatore non aveva fatto altro che abusare di me?

Come potevano sapere che mi ero trasferita per tre anni a casa di mia madre a Los Angeles perché non riuscivo a vedere la delusione nel viso delle persone che più amavo?

Come potevano sapere che stavo facendo turni su turni da Zia Barb per provare a guadagnare qualcosa e mettermi i soldi da parte per trasferirmi in Italia e andare a studiare in un conservatorio?

La verità era che tutti quelli invitati a quella maledetta festa, ma anche nella vita in generale, erano solo pronti a puntare il dito contro, a recriminare le azioni che decidevo di prendere senza sapere niente dei miei progetti, dei miei sogni, dei miei desideri e delle mie paure. Parlavano perché si sentivano in dovere di farlo quando in realtà nessuno glielo aveva chiesto.

Forse la verità era che odiavo le feste perché odiavo le persone.

«Stai bene?» mi chiese d'un tratto una voce femminile al mio fianco che mi fece svegliare dal mio stato contemplativo su quanto detestassi l'umanità.

Appena la guardai d'istinto sorrisi nel vedere quanto Harry le somigliasse: i suoi occhi, anche se erano di un colore diverso, erano dolci esattamente allo stesso modo di quelli di suo figlio, l'espressione che aveva assunto il suo viso mi dava un senso di pace, la sua presenza mi faceva sentire al sicuro nello stesso esatto modo in cui mi faceva sentire Harry quando pattinavamo insieme.

«Credo di sì Anne, grazie.» le risposi con un sorriso di gratitudine.

«Posso sedermi accanto a te?» mi domandò ed io subito annuì acconsentendo.

«Come mai sei qui da sola e in disparte dalla festa? Credevo che volessi stare in prima posizione tra gli invitati per il compleanno di Niall.» chiese mentre guardavamo il mio dolcissimo fratellastro scartare i regali tra i sorrisi e gli applausi di tutti quelli che gli stavano attorno.

𝐂𝐎𝐋𝐃 𝐀𝐒 𝐈𝐂𝐄Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora