𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐪𝐮𝐚𝐫𝐚𝐧𝐭𝐨𝐭𝐭𝐨

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un mese dopo l'incidente

«Hai intenzione di rimanere così ancora per tanto?» chiese Niall aprendo le tapparelle di camera mia mentre ero seduta sul mio letto con le gambe strette al petto

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«Hai intenzione di rimanere così ancora per tanto?» chiese Niall aprendo le tapparelle di camera mia mentre ero seduta sul mio letto con le gambe strette al petto.

Invece di rispondergli rimasi in assoluto silenzio e piano piano spostai lo sguardo su Zayn che, palesemente affranto e triste, fissava il pavimento facendo dei respiri profondi e pieni di amarezza. Dal suo viso, come dal mio, era ben visibile quanto era stato e continuava a stare male tutt'ora per la morte di Noah: lo vedevo dai suoi occhi belli che erano segnati, dal viso scavato per l'eccessiva perdita di peso e dal suo aspetto che era tremendamente trascurato.

Non tutti però sembravano accorgersi della sua sofferenza, nessuno tranne me pareva preoccuparsi per la sua salute perché ero io che davo maggior pensiero alle persone che ci circondavano.

Era visibile a chilometri quanto fossi completamente distrutta e logorata dalla morte del mio migliore amico: avevo smesso di mangiare, non dormivo normalmente dalla notte dell'incidente e non mi ero mai alzata se non una notte per tingermi i capelli in preda di una crisi dopo aver visto quanto fosse terrificante il mio aspetto riflesso nello specchio.

Pensavo che cambiare il colore di capelli mi avrebbe dato un leggero sollievo perché Noah amava il mio colore naturale di capelli, il color cioccolato scuro, ma non era servito a niente se non a passare la notte seduta a terra nel bagno a piangere come una disperata. Era stato mio padre a trovarmi in preda ai singhiozzi e ad una crisi, mi aveva preso tra le sue braccia proprio come quando ero piccola e, dopo avermi portata a letto, mi era stato accanto fino al mattino.

A darmi preoccupazioni però era anche il mio occhi belli perché lui sapeva nascondere bene il suo dolore, sembrava costantemente forte all'apparenza, mostrava tranquillamente di tenere tutto sotto controllo, di riuscire a tenere testa alla mancanza di Noah soprattutto per me, ma ero certa che prima o poi sarebbe esploso.

«Margot devi smetterla di fare così» insistette Niall senza ottenere una mia risposta.

Dallo sguardo del mio fratellastro capivo che ero orrenda all'apparenza, che faceva fatica a guardarmi, ma non avevo alcuna intenzione di alzarmi da lì solo per fare un piacere al biondo e sorridere come se nulla fosse: stavo male e volevo rispettare il mio dolore, viverlo e stare male il più possibile.

Nessuno sembrava volesse capire e rispettare il male che sentivo dentro, in quel mese chiunque aveva cercato di tirarmi su di morale, ogni singola persona era venuta a trovarmi per tentare di farmi mangiare o alzare o anche solo far parlare, ma erano trenta interminabili giorni che non pronunciavo parola, che non toccavo boccone e che non mi muovevo da lì.

Anche Zayn ci aveva provato, sotto obbligo della mia famiglia, a tirarmi su, a scuotermi e a distrarmi ma niente, stavo malissimo.

L'unica che sembrava capirmi e starmi accanto era Nux, la mia piccola, dolce ed unica gattina che si avvicinava a me quando i singhiozzi si facevano più pesanti come per cercare di dirmi, anche se senza le parole, che lei era lì, che mi stava accanto e che mi teneva compagnia mentre vivevo e buttavo fuori tutto il mio dolore.

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