capitolo 20

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"Dai Buck, devo andare!" ridacchio cercando di fargli togliere le sue mani ben strette intorno ai miei fianchi. "Non devi andare da nessuna parte, sei una ricercata" borbotta intrufolandosi con il viso tra i nodi dei miei capelli.

Faccio forza sui suoi bicipiti, intenta a snodarli dalle mie costole, ma senza alcun successo. "Non sono io la ricercata" rido girandomi per cercare i suoi occhi.

"Sono la vostra salvatrice, e se non mi lasci andare moriremo tutti di fame" aggiusto i ciuffi neri come la pece che si sono ribellati. Mugola qualcosa, probabilmente per farmi capire che non è d'accordo con me.

"Ma dove devi andare?" mi avvicina ancora di più a lui, facendo aderire la mia testa al suo petto. Mi mordo il labbro, talmente forte da sentire quasi il sapore del sangue.

La parte che devo andare a fare rifornimento di cibo è vera; dopo Natale è rimasto poco e niente, e domani è la fine dell'anno, non possiamo rimanere senza cibo. Il fatto è che mi sono decisa ad andare in ospedale per farmi visitare dalla dottoressa che mi ha detto Tony, e questo a Bucky non posso dirlo.

"Su sanguisuga, devo andare davvero adesso" sussurro al suo orecchio lasciandogli dei piccoli baci sulla guancia. Si allontana un po', giusto per far incontrare i nostri occhi.

Mi aggiusta delicatamente una ciocca di capelli dietro l'orecchio, senza mai distaccare lo sguardo. "Va bene" bisbiglia scoccandomi un veloce bacio sulle labbra.

Mi alzo dal letto, libera dalla sua presa invincibile, e con dei gesti veloci mi tolgo la sua maglia nera, lanciandola sul tappeto ai piedi del letto. "Ehi, non buttare a terra la maglia, si sporca" dice in tono lamentoso abbassandosi il lenzuolo fino al linguine.

Lo ignoro, lasciando passare dalla testa il maglioncino verde smeraldo. "Stavi meglio senza nulla" borbotta osservando le mie gambe nude. "Non penso che ti farebbe piacere vedermi andare in giro per New York con il seno scoperto, e gli slip di pizzo" piego un angolo della bocca mentre fatico ad infilarmi i jeans.

Grugnisce in segno di disapprovazione, stringendosi il cuscino sotto la testa. "Non dirlo neanche per scherzo principessina" sospira osservando ogni mio minimo movimento.

Lego le stringhe degli anfibi e indosso il cappotto, pronta per uscire. Mi avvicino al letto abbassandomi verso le labbra socchiuse di Bucky, e ci lascio un leggero bacio. "Non divertirti troppo senza di me" sorrido aprendo la porta della camera "simpatica come sempre. Per favore mandami un messaggio quando arrivi in città" si raccomanda soffocando le parole mentre cambia posizione.

"Okay papà" rido per il dito medio con cui mi risponde senza neanche guardarmi. "Ciao Buck" "ciao piccola" risponde con voce roca, lasciando che il mio cuore faccia una capriola, lasciandomi senza fiato per un secondo che sembra infinito.

Non mi aveva mai chiamata piccola fino ad adesso, e sentire quel nomignolo, che fino a quel momento mi era sembrato smielato e eccessivo, uscire dalla sua bocca, mi rende più felice del dovuto.

Mi chiudo la porta di casa alle spalle, sorridendo come un ebete, e scoordinatamente entro in macchina, rabbrividendo per l'aria gelida.

[...]

La musica si spenge in contemporanea del motore della macchina quando parcheggio nei posti dell'ospedale. Ho il cuore a mille e il respiro irregolare mentre varco la porta a vetri dell'enorme struttura.

Mi guardo attorno, stringendo tra le mani il foglietto logoro in cui è scritto il nome della dottoressa Palmer.

"Signorina, ha bisogno di aiuto?" una voce giovane proveniente dal bancone dell'accettazione richiama la mia attenzione.

Back to New York||Bucky BarnesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora