La vista annebbiata di Golden Uvula mette a fuoco l'olio su tela che le si presenta davanti. Nove scarpe nere laccate, quattro destre e cinque sinistre. La solitaria è accompagnata da una stampella di metallo; l'immaginazione la porta subito sulla nave di un gruppo di pirati, John Silver ha trovato nel freddo e rigido metallo una gamba migliore. Due scarpe sono sospese, una sul tacco l'altra di lato, Uvula ne osserva le suole incredibilmente pulite. Altre quattro stanno ferme vicino ai muri, uno opposto all'altro. E infine un paio di calzature – taglia quarantasei a occhio e croce – la fronteggia impavido. La testa penzolante della donna si muove appena appena, un colpo di tosse sommesso graffia la sua esile gola, fino a che le due scarpe che le puntavano contro non decidono di ridurre le distanze. Indice e pollice le pinzano delicatamente il mento, rendendole forza necessaria a sollevare il capo e inquadrarne il proprietario.
Gli occhi a mandorla dell'uomo sorridono inquietanti, la linea morbida e rilassata delle labbra si schiude per pronunciare l'esordio della conversazione. "Fai la brava, cerca di tenere il mento alto." Afferma con fare paterno. Lei obbedisce, si costringe a non sprofondare di nuovo in un sonno profondo. Così lui torna al suo posto e ripone le mani nelle tasche del completo nero in lana di cammello. Ora Uvula li vede: sono uno meno rassicurante dell'altro, di diverse altezze, diversi tagli di capelli. John Silver è il più vecchio, ma è andato e probabilmente malaticcio. Quello seduto attira l'attenzione, coi suoi capelli lunghi accuratamente pettinati in una coda bassa, le fossette ai lati del sorriso, la giovinezza a cui Uvula darebbe al massimo vent'anni e per il coltellino che si rigira con maestria nella mano.
"Datele da bere." Ordina l'uomo al centro ai suoi sottoposti, nella sua lingua madre e spaventando così la donna, ora con uno degli uomini che le va in contro. Solo quando vede la bottiglietta d'acqua aperta rivolgersi alla sua bocca, comprende cosa sia stato detto. E dunque – come se avesse viaggiato nel deserto per giorni – si accinge a posare le labbra sul collo di plastica. Ne beve ogni goccia, causando ilarità nei presenti, meno che nell'uomo al centro della sala. Si riserva di trattenere un po' di quel liquido in bocca, sputandolo così sull'asiatico che l'affianca ridendo. L'espressione muta, sta per sollevare persino la mano per darle in cambio una severa punizione, ma il capo lo interrompe servendosi dell'ennesimo ordine in lingua madre.
Le rende poi il tempo di capire dove si trova e in che condizioni: legata come un salame su un morbido materasso, bianco asettico. Polsi dietro la schiena, in una morsa che le fa perdere sensibilità alle mani, un'altra alle caviglie posizionate sotto le natiche. Polpacci e cosce tenuti assieme dall'ennesima corda. Ora che i suoi muscoli si stanno lentamente risvegliando, il dolore diviene sempre più lancinante.
"Troppo strette?" domanda l'uomo riferendosi alle corde. Uvula annuisce in un lamento, con due occhi grandi e lucidi come quelli di un cucciolo abbandonato. "Ne sono desolato. Credimi. Ma è stato un trattamento necessario; dopo che hai staccato il dito al mio amico non potevamo permettere che accadesse di nuovo. Questo genere di barbarie non è nel mio stile."
Il dito? È quello il sapore metallico che sente sulle pareti della bocca? Uvula ascolta con attenzione il tono pacato e gentile dell'uomo che ha di fronte. La proposta che sta per farle diventa allettante a mano a mano che il dolore s'intensifica.
"Ho intenzione di slegarti e anche presto, ma vorrei assicurarmi che tu comprenda di non essere in pericolo fino a quando non mi darai un motivo per deciderlo."
È lui a decidere quindi se Uvula è in pericolo, be', l'aveva immaginato quando l'è stato risparmiato lo schiaffo per l'affronto di appena un minuto fa. "Non mi piacciono i tuoi amici." Afferma contrariata, azzardando quella richiesta.
"Sì, lo avevo intuito." Conferma lui, mentre una risata vibra leggera tra i suoi denti. Poi, con un altro ordine in quella lingua a lei sconosciuta, dà inizio a un breve scambio di battute. "Lasciateci soli." Dice rivolgendosi ai quattro uomini.
"Ma boss. È pericolosa." Risponde quello con la camicia bagnata.
"Vuoi supporre che io non lo sia?"
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Il Filo Bianco
Action𝘈 𝘋𝘶𝘴𝘵𝘷𝘪𝘭𝘭𝘦 𝘭𝘢 𝘨𝘪𝘶𝘴𝘵𝘪𝘻𝘪𝘢 𝘴𝘪 𝘤𝘰𝘮𝘱𝘳𝘢. È questa la violenta certezza che muove i fili della città. Chi la abita si è da tempo arreso al dominio di Roger Kray e alla corruzione che striscia tra pistole e distintivi. Dustvill...