cinquantatré

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Una scintilla di luce è la sola testimonianza della presenza di Joshua e Matthew, proveniente dall'edificio nord. È la canna del fucile da cecchino che punta su di voi, seguendovi passo dopo passo con millimetrica precisione. Se non sapessi che Matt si trova lì, non la noteresti mai.

Uvula vi precede, Vasilisa ti sta accanto con premura ed imbarazzo, ancora affatto abituata all'idea di avere la figlia a così pochi metri... probabilmente ancora affatto abituata all'idea di avere una figlia. E ammetti che faccia uno strano effetto anche a te, ma a differenza sua non ci fai granché caso per via dei pensieri che rimbombano insistenti nella tua testa. Lei sembra andarsene a fare una scampagnata di famiglia, imperturbabile se non a causa della tua presenza: d'altronde il rischio lo rappresenti tu, fin dalla tua nascita. Se tutto ciò è accaduto, è per colpa tua e della protezione che Vasilisa tenta di garantirti da una ventina d'anni.

I tacchi di Uvula scandiscono i secondi e i vostri li seguono sincronizzati percorrendo la strada asfaltata oltre il cancello della fabbrica. L'ambiente è spoglio, carico solo di rovine e vegetazione qua e là, qualche muro è venuto giù negli anni e questo rema a favore, ma quando un soffitto copre le vostre sagome dalla visuale di Josh e Matt cominci a percepire la vera tensione di quell'incontro.
Pareti distrutte vi circondano creando un labirinto grigio, quelle rimaste intatte – più interne alla struttura – appaiono sporche e piene di graffiti. Angolo dopo angolo puoi giurare di sentir l'odore del sangue avvolgerti fino a infilarsi in gola; la sensazione di nausea è quasi immediata ma repressa magistralmente. "È enorme. Non raggiungeremo mai Sōsuke di questo passo." Ragioni tra te e te, ad alta voce. E se Vasilisa non dà segnali di risposta o anche solo di averti sentito, Uvula ti rivolge la parola senza mai smettere di camminare.
"La parte difficile sarà uscire."
Non proprio la più rassicurante delle osservazioni, ma non la biasimi. Confessi di temere l'idea di trasformarti in un topo in gabbia. E proprio mentre cerchi di ricordare gli svincoli presi per raggiungere il punto dell'incontro, ti accorgi di esserti fermata assieme alle tue due alleate.
Fronteggiate una delle poche porte ancora infilate nelle cerniere e d'un tratto il surrealismo di quel quadro ti colpisce come un pugno in faccia: in tanta distruzione e tanto abbandono, quel muro appare fuori contesto, quasi fosse un portale che s'affaccia su un universo parallelo.

"Sei pronta?" una domanda che proviene da tua madre e a cui non sai rispondere se non annuendo, colta alla sprovvista. Sei pronta? A far cosa? A incontrare la feccia della feccia? Colui che ti ha rovinato la vita, la crescita, l'infanzia e che desidera contribuire ulteriormente? No, forse non lo sarai mai o forse stai desiderando che qualcosa vada storto per far ciò che Colin ti ha raccomandato di fare.
Varcata la soglia non c'è più possibilità di tornare indietro. Uvula vi lancia quindi l'ultima occhiata di conforto prima di aprire la porta di quello che sembrerebbe il vecchio ufficio del capo della fabbrica. Inciso sul legno puoi leggere "Mr. Ronald" in un font elegante e stampatello. Entrambe la seguite, sebbene qualcosa nell'aria si tenda inspiegabilmente. Tempo che sia tu che tua madre vi facciate avanti, che Uvula si blocca, schiude le labbra confusa e solleva il mento. Elabora una spiegazione logica a un qualcosa che tu e Vasilisa non potete ancora identificare e che si manifesta solo superato il confine.

"Vi stavo aspettando."

L'agitazione che incendia il corpo delle due donne coinvolge anche te. Quell'uomo non ha esattamente l'aspetto che t'avevano descritto: niente capelli neri, al loro posto un raffinato e maturo grigio, inoltre sembra ben più basso di quei quasi due metri di cui parlavano. Anche l'abbigliamento non corrisponde alla nomea; non è del posto, non ci si mimetizza bene, non fa parte dei pezzi grossi di Dustville a cui sei abituata, come Sōsuke nonostante il recente ingresso... o magari la t-shirt col colletto e i pantaloni blu notte sono l'abbigliamento di chi preferisce mimetizzarsi tra il popolo per sviare sospetti. Gli dai appena quarant'anni, ma puoi scommettere che ne abbia almeno dieci in più. I muscoli e le venature che spuntano da sotto le maniche ti fanno intuire che si alleni spesso e che abbia speso l'intera vita a farlo. O forse stai solo stereotipando l'ennesimo asiatico che ai tuoi occhi somiglia al mito d'infanzia Bruce Lee. A dirla tutta, a te poco importa... l'unica preoccupazione al momento è dove sia Sōsuke, spaventata dal tuo brutto presentimento a riguardo. È tua madre a darti la conferma del tuo pensiero.
"Fanculo." afferma sull'attenti, impugnando la katana bianca. La sua reazione ti fa ben intendere che chi hai di fronte non sia colui che ha richiesto l'incontro. E dunque, se Sōsuke non è qui dove diamine è?
L'uomo che presenzia al suo posto non sembra affatto impressionato dal temperamento bollente di tua madre, dall'incandescente fumo che espira dal naso. Cosa la tiene ferma? E cosa la porta a esibire un velo di mera malinconia nello sguardo? Che ci sia dell'affetto tra i due di cui non sei a conoscenza?
Con un sorriso rilassato, l'uomo prende posto sulla poltrona dietro la scrivania. Solo ora ti accorgi di quanto sia pulita e ammobiliata quella stanza a differenza di ciò che la circonda, al di fuori della porta, di quanto rispecchi perfettamente il surrealismo del muro visto in precedenza.

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