4.

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Trascinare valigie e scatoloni nella dependance di zia Vivienne con mia madre alle calcagna che piagnucola e mi accarezza ogni qualvolta le è possibile è un incubo. Certo, mi spiace che pianga per me e sono sicura che sentirò tantissimo la loro mancanza, soprattutto dopo ventidue anni trascorsi insieme a loro, ma questa dependance ha il sapore della libertà e voglio guadagnarmela. Non mi piace starci senza pagare un affitto o scroccare soldi ai miei per pagarmi alimenti e beni di prima necessità ma già lo stare per conto mio è un passo avanti. Adesso spero solo che mi chiamino in una delle tante gallerie a cui ho mandato il curriculum. Non sarà facile, soprattutto nei primi tempi, ma io non mollo e sono certa che presto o tardi la fortuna girerà dalla mia parte.
Quando mi libero di mamma è quasi ora di pranzo. Non ho ancora controllato il cellulare, dunque, non so se Harry mi abbia cercata nelle ultime quattro ore. Tiro fuori l'aggeggio dalla tasca dei jeans e sorrido quando noto le numerose chiamate perse e messaggi. Ne leggo alcuni, aggrottando la fronte quando noto la sua preoccupazione. In effetti, gli rispondo sempre abbastanza in fretta visto che non ho molto da fare ma oggi sono stata parecchio impegnata e penso anche di averglielo detto. Non ci penso due volte: avvio la chiamata e porto il cellulare all'orecchio.
«Aurora? Grazie al cielo» sospira.
«Ehi. Come mai tutta questa preoccupazione?» chiedo andando dritta al punto.
«Non mi rispondi da ieri e sei stata tutta la mattina assente. Mi sono preoccupato» spiega.
«Ma se sono trascorse a malapena- oh, giusto!» mi colpisco sulla fronte con la mano. «Lì siete cinque ore avanti. È pomeriggio, vero?»
«Sono le cinque e un quarto, Ro. E non ti sentivo dalla sera prima. È successo qualcosa?» indaga preoccupato.
Rilascio un respiro profondo e mi accomodo sul piccolo divano, di fronte al televisore. «Sono a Boston, mi sono appena trasferita nella dependance di mia zia. Ho avuto un po' da fare e sono stata la precedente ora a consolare mia madre. Non ho controllato il cellulare» spiego guardandomi attorno.
«Va bene. Scusa se ti sono sembrato un pazzo, è solo che mi sono preoccupato» borbotta.
«Non importa» ridacchio scostando una ciocca di capelli dal viso pallido. Mi servirebbe un po' di sole. «Renderai tutto molto realistico.»
«L'idea di conoscerci è stata geniale.»
«Lo so, lo so» fingo di darmi arie.
Harry ride dall'altro lato del telefono, poi sospira. «Abbiamo un programma bello fitto al mio ritorno.»
«Ah, sì?»
«Certo. C'è la cena con mio padre, il mio compleanno... pensavo di andare da qualche parte. A proposito, non mi sembra di avertelo ancora chiesto: quand'è il tuo compleanno?» domanda interessato.
«Il quattro dicembre. Ho compiuto ventidue anni» rispondo.
«Ma come sei piccina. Pagherei oro per tornare ad averne ventidue» si lagna.
«Oh, mio Dio» sbuffo una risata scuotendo il capo. «Hai tre miseri anni in più, piantala di essere così drammatico!»
«Tre anni sono tanti» mi ricorda.
«Harry, mia zia ha dodici anni in meno di mio zio. Credimi, tre anni non sono niente» continuo a ridere.
«Dodici?!» si strozza con la saliva.
«Già. Credi ancora di essere vecchio?» lo punzecchio divertita.
«No, credo... di no» biascica.
«Bene» calmo la risata. «Adesso devo andare, sto morendo di fame e poi devo passare al negozio di zia per vedere se posso darle una mano. Sai, in attesa che qualcuno mi chiami» sospiro.
«Ancora nessuna chiamata sul fronte lavorativo?» sbuffa.
«No» mormoro. «Spero tanto di farcela, Harry. Ne ho bisogno» ammetto. È vero, bisogno è la parola adatta per descrivere la mia situazione. Voglio iniziare da qualche parte, costruirmi una carriera, mantenermi da sola... spero tanto di riuscire a farcela.
«Ce la farai. E se non dovessi riuscirci... hai un marito ricco, sfruttalo» stavolta è lui a punzecchiarmi.
Scuoto il capo trattenendo un'altra risatina. «Hai ragione, non dovrei preoccuparmi proprio di nulla.»
«Questo è lo spirito giusto!»
«Ora vado. Ciao, riccone» lo prendo in giro.
Harry ridacchia dall'altro lato del telefono. «Ciao, Ro.»

Quando arrivo al Velia's zia Vivienne e Avery stanno parlando di qualcosa che non afferro. Raggiungo le due donne al bancone e vengo accolta con calore. Mi spiace tenere nascosto il mio finto fidanzamento a loro ma per il momento non posso permettermi di dire nulla. Forse, una volta annunciato il matrimonio ne parlerò con la moretta e il suo fidanzato. Sì. Sono ancora di quell'idea e convincere Harry che può fidarsi di loro sarà una passeggiata. Ci conosciamo ogni giorno di più e spero davvero di guadagnarmi la sua fiducia, con me sta funzionando. Voglio dire, non è che mi fidi totalmente di lui ma... stiamo procedendo verso quella direzione, il che è un passo enorme visto che siamo prossimi al matrimonio.
Non ci penso nemmeno a condividere il mio letto o anche solo la mia casa con un perfetto sconosciuto. Imparare a conoscerci, a capirci è stata senza dubbio la cosa più logica e giusta che potessimo fare. Farà sembrare tutto più fluido, più sensato agli occhi della gente e soprattutto agli occhi del padre, il nostro obiettivo principale. Mi chiedo come reagiranno mamma e papà... ho i brividi al solo pensiero.
«Ehi, terra chiama Aurora!» Avery scuote una mano davanti al mio viso.
«Scusate» scuoto il capo. «Ero sovrappensiero.»
«A che pensavi di così intenso?» domanda zia Vivi.
«Al lavoro» mento in parte. «Spero che mi chiami qualcuno entro il fine settimana» sbuffo.
«Lo faranno» mi rassicura.
«Sarebbero dei cretini a non prenderti. Caffè?» mi sorride Avery.
«Sì, lo prendo volentieri. Siete in pausa pranzo, no?»
«Hm-hm, io sto andando da Danny, ho dimenticato di dargli una cosa. Ci sono degli avanzi se hai fame, Rori» zia Vivienne mi lascia un bacio in fronte e dopo aver salutato Avery, se ne va.
«Incredibile come dopo tutti questi anni siano ancora pazzi uno dell'altro» dice Avery cedendomi una tazza.
«Lo so!» la seguo nello studio. Ho fame, accetterò gli avanzi con tutto il cuore. «Sono così innamorati e appiccicosi. Ci sono state volte, con i miei genitori, in cui ho dovuto rendere nota la mia presenza schiarendomi la voce con così tanta forza da irritarmi la gola» racconto mentre mi sedia girevole di zia e apro il cartone bianco. Mmh, ravioli. Sono in paradiso.
«Oddio» ride Avery. «Divertente, eh?»
«Da morire» alzo gli occhi al cielo. «Come vanno le cose con Dev?» chiedo. Ci siamo viste giusto la scorsa settimana, prima che partissi, quindi non è passato molto tempo, ma sono curiosa.
«Molto bene. La domenica pranziamo sempre a casa di Vivienne e Danny. Spero che diventi un'abitudine. Voglio che Devon passi più tempo possibile con i suoi» prende un sorso di caffè.
«Lo diventerà e sono certa che le cose torneranno come prima. Adesso non può più chiudersi a riccio, tu le spine gliele stacchi tutte» sghignazzo prima di addentare un raviolo.
«Mi piace come ragioni, Sullivan» annuisce osservandomi. «E sono d'accordo. Farò il possibile per renderlo felice» arrossisce l'attimo dopo.
«Non ho il minimo dubbio, sai? Come ti ho già detto, sei perfetta per lui e adesso che se n'è finalmente accorto... credimi, non si scollerà per il resto della vostra vita.»
«Bene, miravo proprio ad avere il suo culo fastidioso in giro per tutto quel tempo» mi fa l'occhiolino.
Rido, gustandomi i ravioli e la sua compagnia. «Dovremmo uscire un giorno di questi.»
«Certo!» esclama entusiasta. «Voglio bene a tutti nella vostra famiglia-»
«Nostra» la correggo dolcemente.
«Come, scusa?» mi guarda confusa.
«Vuoi bene a tutti nella nostra famiglia. Ci sei dentro anche tu, non dimenticarlo» divoro un altro raviolo. Dio, sono così buoni.
Avery resta in silenzio per qualche secondo ma la cosa non mi disturba, è ancora tutto nuovo.
«Dicevo» si schiarisce la voce. «Voglio bene a tutti nella nostra famiglia ma è bello poter uscire con qualcuno della mia età.»
«Oh,» inghiotto prima di afferrare il bicchiere d'acqua. «Sono assolutamente d'accordo. Non sono mai stata molto legata alle gemelle per ovvi motivi, Layla è troppo piccola per affrontare certe discussioni e mia sorella è troppo impegnata con l'università e il suo blog per poter passare la metà del suo tempo a Boston. Quindi, sì, sola» faccio spallucce.
«Non più» mi ricorda.
«Non più» annuisco soddisfatta.

𝐀𝐔𝐑𝐎𝐑𝐀 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟐]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora