36.

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Lavorare, per la prima volta da metà febbraio, è stato snervante. Non ho fatto altro che domandarmi di cosa potesse trattarsi e a ogni levigatura sul comodino guardavo l'orologio, nella speranza che il tempo passasse più in fretta. Harry è stato muto come una tomba, non c'è stato verso di cavargli nemmeno il più piccolo dettaglio. A parte ciò che ha detto ieri a pranzo, non so niente.
Giunta a casa, intorno alle cinque, ho fatto una doccia veloce per levare residui di legno, polvere e prodotti vari e mi sono preparata.
Alle cinque e mezza in punto Harry mi ha chiamata, informandomi che si trovava alla porta. Inutile dire come io sia sfrecciata in direzione della sua auto. E così eccomi qui, sul sedile del passeggero, mentre maledico ogni macchina presente davanti a noi. Siamo imbottigliati da una decina di minuti ormai. A quanto pare questo fantomatico posto si trova a North Brooklyn, facilmente raggiungibile in un quarto d'ora se solo non fossimo bloccati.
Molleggio il ginocchio e mi sistemo gli occhiali sulla testa per poter riuscire a vedere meglio le auto. «È sempre così. Quando la gente ha da fare, ecco che spunta il traffico» sbuffo.
«Fremi davvero dalla voglia di sapere, eh?» ridacchia, divertito dalla mia impazienza.
«Facile per te parlare visto che sai già tutto» borbotto incrociando le braccia al petto.
La sua mano si posa sulla mia coscia, poi la stringe. «Dai, siamo a metà strada, non manca molto.»
«Nel caso non te ne fossi accorto, siamo a malapena arrivati alla Boston University e sai quanto questa zona sia lenta» gli faccio notare. Le tre aree principali che l'università copre sono sempre colme di studenti, professori e qualsiasi genere di mezzo possibile e immaginabile. Una volta, non ricordo di preciso dove stessi andando, ho visto persino due ragazzi muoversi con i pattini. Avevano queste tracolle colme di materiale sul fianco e pattinavano come degli esperti, come se non costasse loro nessuno sforzo. Poi c'è stata la volta della tipa con i tacchi sul monopattino elettrico, persino più pazza di quei due. E non dimentichiamoci della coppia in tandem e il vecchio in vespa. Sul serio, se si desidera vedere qualcosa di bizzarro basta solo recarsi alla Boston University, la gente fa di tutto pur di non arrivare in ritardo.
«Avranno quasi finito» sminuisce la cosa il biondo mentre avanza lento. «E poi non importa se tardiamo un po'.»
«Perché?» chiedo confusa.
«Perché no.»
«Wow, sono profondamente colpita dalla tua spiegazione articolata ed esaustiva» ribatto sarcastica.
«Cosa ti succede oggi? Mi sembri più scattante del solito» mi lancia uno sguardo prima di tornare a guardare davanti a sé.
«Mi è venuto il ciclo» sospiro.
«Ah. Non ne abbiamo mai discusso» dice mentre si sistema meglio gli occhiali da sole sul naso.
Arcuo un sopracciglio. «Avremmo dovuto?»
Harry gira a sinistra su Freeman Street, segno che ci siamo quasi, poi mi lancia un'altra occhiata. «Non nello specifico» ci tiene a precisare. «Intendevo solo che vorrei capire come ti comporti in quel periodo. Ti serve qualcosa? Devo evitare certi argomenti? Posso comprarti quello che ti pare tranne i Tampax, non ho esperienza in materia» si gratta la guancia.
Rimango ammutolita per un po', incapace di formulare qualcosa di coerente. Da piccolina mi imbarazzava parlare di queste cose, soprattutto in presenza di maschi. Col tempo, però, le cose sono cambiate e ho iniziato a pensare che si tratta di ciclo mestruale, non della bomba atomica, è una cosa naturale e non ho motivo di vergognarmene. È solo che... non c'è mai stato motivo di intavolare una conversazione ben precisa come questa, né con Devon, né con Darren. Certo, adesso Devon è cresciuto e sono sicura che con Avery non ci siano confini, ma... qualche anno fa, era un argomento che quando capitava che uscisse i due ragazzi liquidavano in fretta, forse perché più piccoli o forse perché disinteressati, non lo so. Harry, invece, lui... non cessa mai di stupirmi. E no, non si tratta del fatto che ha subito associato il mio malumore al ciclo, perché non l'ha fatto. O quanto meno, se l'ha pensato, ha avuto la decenza di tenerselo per sé da persona educata qual è. Si tratta più del fatto che si sia dimostrato interessato al mio benessere senza alcuno scherno.
«Angelo?» mi richiama. «Ti sei incantata? Voglio dire, so di essere davvero magnifico, ma abbi almeno un po' di pudore.»
Scuoto il capo e accenno una risata. «Stavo solo pensando.»
«Lo so. Finisci in un mondo tutto tuo e sono così curioso di sapere cosa ti passa per la testa che mi fa ammattire» ammette.
«Niente, pensavo che apprezzo le tue domande e per rispondervi, no, non ti chiederò di comprarmi dei Tampax ma» sollevo l'indice.
«Ah, c'è sempre un ma. Lo sapevo. Mannaggia» si finge contrariato facendomi ridacchiare di nuovo.
«Ma mi piace mangiare cioccolata fondente con le nocciole, le Twisties e la pizza» elenco con le dita. «Sono la mia santa trinità della settimana.»
«Okay, bene, afferrato. Allora stasera pizza e cioccolata per dolce. Che dici?»
«Sì!» esclamo entusiasta. Ecco, adesso non vedo l'ora di arrivare ovunque siamo diretti e poi che arrivi l'ora di cena.
«Bene. Siamo quasi arrivati» sorride divertito.
«Davvero?» chiedo speranzosa iniziando a guardarmi intorno. Ci sono complessi di case, minimarket e negozi basilari per la quotidianità. Comincio a scorgere un paio di palazzine, notando come altre siano in fase di costruzione. Harry gira per un paio di vie mentre ci avviciniamo sempre di più alla serie di palazzi. È come una piccola replica del centro, l'aria è più urbana e la gente circola molto di più in auto rispetto a prima.
Harry parcheggia davanti a un palazzo, non scorgo troppe finestre; quindi, non deve trattarsi di un complesso di appartamenti. C'è un'ampia scalinata, mi ricorda quella del Met di New York, solo meno ripida. Mi affretto a scendere, sentendo la risata di Harry e zampetto verso la scala. Scorgo una figura in cima alle scale, dunque, interrompo il mio percorso e attendo che Harry mi raggiunga. Ben presto ci ritroviamo in cima e sì, avevo ragione, si tratta proprio di un uomo. Harry stringe la mia mano e mi invita a seguirlo.
«Finalmente ce l'hai fatta. Pensavo di dovermi accampare» dice il tizio.
«Traffico» ribatte Harry. «Aurora, ti presento Ronan Maxwell. Ronan, lei è Aurora Sullivan.»
«Un bel nome per un bellissimo viso. Molto piacere» allunga una mano nella mia direzione, l'altra ben salda dentro la tasca, mentre mi osserva con due occhi penetranti dello stesso colore del cioccolato.
«Piacere mio» sorrido.
«Entriamo?»
«Sì. Non vede l'ora di sapere» ridacchia Harry.
«Appunto; quindi, sbrighiamoci» lo trascino dentro sotto lo sguardo divertito del suo... amico?
L'interno è proprio come lo immaginavo: una grande sala dal pavimento in marmo, un palco di fronte all'entrata, piccole sculture ai lati e il pezzo forte... chino meglio il capo e sospiro estasiata osservando l'enorme lampadario in cristallo. Quando dico enorme, intendo davvero enorme. Migliaia di luci incastonate tra i cristalli illuminano la sala nonostante il buio non sia ancora calato del tutto e le porte siano aperte.
«Un gentile regalo da parte dei nostri padri» dice Ronan.
Solo ora mi accorgo che si trova al mio fianco, Harry dall'altro lato.
«Non voglio sapere quanto sia costato, mi sento già povera così» mormoro.
«Beh, stai per sposare un riccone, non sarai poi così povera, no?» mi stuzzica.
Riesco a capirlo bene ma mi becca in una giornata particolarmente irritante, perciò, non mi faccio scrupoli a ribattere. «È mio marito quello ricco, signor Maxwell, non la sottoscritta.»
«Punge» Ronan si rivolge a Harry.
«Non sai quanto» il biondo mi attira a sé con un fianco facendomi sorridere. «Allora, vuoi sapere perché ti ho portato qui e perché questa spina nel fianco è presente?» mi domanda.
«Sì, ti prego» lo supplico, perché non ne posso più di attendere.
«Okay, beh, mentre ero a Londra e gestivo la faccenda del trasloco ho contattato Ronan. Lui è nell'edilizia da un paio di anni ma va alla grande, fidati, è ricco sfondato, così ho pensato di proporgli un progetto e lui ha accettato» lancia uno sguardo all'amico.
Così è ricco anche lui eh? Non l'avrei mai detto visto l'abito d'alta sartoria che gli fascia quello che ha tutta l'aria di essere un fisico più che tonico. È un po' più alto di Harry e decisamente più muscoloso, Harry è longilineo e asciutto e questo mi fa impazzire, per questo, nonostante Ronan sia un bel ragazzo, non... mi trasmette nulla. È bellissimo; voglio dire, con quei tratti spigolosi, la mascella squadrata e la barbetta di qualche giorno, sarei una colossale idiota se non lo ammettessi, è solo che... non mi attira da quel punto di vista come un certo biondino.
«Che progetto?» domando.
«Abbiamo fondato insieme un'associazione benefica, una ONLUS per la ricerca contro il cancro ai polmoni. Il nostro terzo socio, un vecchio amico di famiglia, si trova a Londra, lui gestirà l'associazione da lì mentre noi ci occuperemo di questa sede» spiega Harry.
«Sarà lui ad occuparsene. Io ho messo i soldi e tutto l'appoggio necessario per portare avanti una cosa così importante» precisa Ronan, come se non volesse più meriti di quanti ne abbia già.
«Oh, mio Dio» sussurro portando una mano alle labbra.
«L'associazione si chiama MFA, che sta per Margareth Ford Association» aggiunge il biondo.
«Io vado. È stato un piacere conoscerti, Aurora. Ci vediamo sabato sera, al gala» Ronan afferra la mia mano e ne bacia il dorso, poi fa un cenno con la testa a Harry e si allontana.
Non aspetto oltre per fiondarmi tra le braccia del riccio. «È una cosa meravigliosa, Harry, dico sul serio.»
«Volevo solo fare qualcosa per lei, cercare in qualche modo di poter trovare una soluzione.»
Annuisco contro il suo petto.
«Passa ogni tanto se ti va» mormora accanto al mio orecchio mentre mi accarezza la schiena.
«Qui? Ma io non ne capisco niente di queste cose. Cioè, non sono proprio competente» ribatto.
«Non ti sto chiedendo di gestire la contabilità» ridacchia. «Di passare un po' di tempo qui, con me, magari ci puoi aiutare per l'estetica. Lì sei competente.»
«Certo che verrò e sì, posso aiutarti per abbellire questo posto già magnifico» sorrido più tranquilla.
«Benissimo. Adesso andiamo, abbiamo due pizze da comprare e due bocche da sfamare» mi pianta un bacio in fronte.
«E la cioccolata» gli ricordo mentre lo seguo verso l'uscita.
«Con le nocciole. Fondente. Me lo ricordo» sorride divertito.
«Non chiudi a chiave o qualcosa del genere?»
«Ci pensa Derek, è della sicurezza» fa un cenno in direzione della sua sinistra e solo ora mi rendo conto dell'uomo in completo nero. Saluta Harry e mi sorride cordiale. Ricambio subito il sorriso e poi seguo il biondo verso l'auto. Non posso crederci che abbia aperto una ONLUS... come ho già detto, quest'uomo non cessa mai di stupirmi.

 come ho già detto, quest'uomo non cessa mai di stupirmi

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𝐀𝐔𝐑𝐎𝐑𝐀 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟐]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora