28.

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Il mattino successivo abbiamo entrambi sonno e delle occhiaie da far paura. Questo ci impedisce di andarcene in giro e fare doppia colazione al centro di Londra? Assolutamente no. Tra un monumento e l'altro la mattinata scorre, fino al primo pomeriggio. Sembra che tutto smetta di avere senso quando nel bel mezzo di St James' Park i miei occhi puntano a un meraviglioso gazebo posto vicino a due grandi querce. La base è ovale, in legno bianco, così come le spesse colonne che in alto si curvano fino a formare una sorta di tetto a capanna. È abbastanza spazioso da ospitare due sposi e un officiante. Anche l'ampio parco potrebbe ospitare un mucchio di gente.
Harry, con in mano il suo tramezzino al prosciutto e formaggio, mi fissa consapevole. «Vuoi sposarti qui.»
La sua non è una domanda, bensì un'affermazione. Annuisco, ancora incantata e sospiro. «C'è spazio per tutti e non penso sia illegale, giusto?»
«Credo si possa fare e poi... mio padre è molto persuasivo quando vuole ottenere qualcosa. Parlerà lui con il comune.»
Sorrido. «Poco distante c'è il laghetto, però» mordicchio il labbro inferiore. «Pensi che vada bene? Magari alcuni dei tuoi amici hanno bambini.»
Harry scuote il capo e si avvicina. «Un mio caro amico tiene un paio di volte a settimana suo nipote ma di certo non lo porterà al matrimonio. Per il resto, in famiglia siamo tutti cresciuti e a parte qualche amico con cui mi vedo per un caffè, non ci sarà troppa gente dalla mia parte.»
«Mi piace qualcosa di intimo. Famiglia e amici stretti. Che dici?» rubo un pezzetto del suo tramezzino.
«Sì, va be- Ehi!» allontana la mano facendomi ridacchiare quando si rende conto di cosa ho appena fatto.
«Dai, ho fame!» mi lagno come una mocciosa.
«Allora potevi prenderlo anche tu, anziché accontentarti di una misera insalata. Era tristissima» sbuffa.
Alzo gli occhi al cielo, ma non replico. Lo so che ha ragione. «Lo faccio per la linea. Non posso ingrassare a un mese e mezzo di distanza dal matrimonio, maritino mio» sbatto le ciglia, trovando la scusa perfetta.
«Potresti ingozzarti per tutto il mese e comunque non saresti grassa, bugiarda che non sei altro» borbotta. Nonostante ciò, spezza un altro pezzo di tramezzino e me lo cede. «Non posso farti morire di fame. Abbiamo ancora il Tower Bridge da vedere.»
«Grazie» stringo il suo braccio con il mio e continuiamo la nostra passeggiata. «Chiami tuo padre più tardi?»
Annuisce. «Sì, dovrebbe essere a casa fra un paio d'ore.»

Intorno alle tre torniamo a casa, rinunciando al Tower Bridge, siamo distrutti e non ci andava di fare avanti e indietro con i mezzi. Abbiamo ancora domani e metà giornata di dopodomani, il tempo c'è e io non ho voglia di affrettarmi e peggiorare la situazione. Dobbiamo riposare.
Verso le quattro faccio una doccia mentre Harry afferra il cellulare informandomi che sta per chiamare suo padre e informarsi a proposito del gazebo al parco. Spero sia fattibile, sarebbe un sogno.
Quando concludo anche di vestirmi, lego i capelli in uno chignon ed esco dal bagno. Un odorino sensazionale mi trascina giù per le scale fino alla cucina, trovo Harry intento a canticchiare qualcosa mentre mescola qualcosa in quella che credo sia una ciotola. Rendo nota la mia presenza schiarendo la voce, l'attimo successivo il biondo si volta e mi sorride. Il cuore perde un battito, ma anche stavolta decido di ignorarlo e mi avvicino. «Che prepari di buono?» domando.
«Zucchine ripiene e polpette di tonno.»
«Posso aiutarti con qualcosa?» osservo l'intruglio rosato nella ciotola.
«Versa del vino, per il resto devo solo infornare tutto» dice prendendo un'altra manciata di impasto e rotolandolo tra i palmi delle mani.
«Questo posso farlo benissimo» annuisco e mi avvicino al frigo. Prendo una bottiglia di bianco e dopo aver chiuso l'anta, recupero due bicchieri. Li riempio e ne avvicino uno alle labbra di Harry. Ha le mani sporche e sarebbe disgustoso toccarlo. Allontano il bicchiere e lo osservo leccarsi le labbra, peccato – o per fortuna – una singola goccia di vino gli cola sul mento. Sono svelta a raccoglierla con l'indice, poi porto il dito alle labbra e succhio. «Mmh.»
I suoi occhi studiano la scena con molta, molta attenzione mentre io realizzo ciò che ho appena fatto. Arrossisco e porto il mio bicchiere alla bocca. «È... molto buono» biascico non sapendo cos'altro dire.
«Lo so» deglutisce.
«Allora, hai... hai chiamato tuo padre? Che ti ha detto?» domando. C'è bisogno di stemperare una situazione che non pensavo si sarebbe nemmeno accaldata, figuriamoci realizzare che sto bruciando.
Bruciando per lui, Harry.
«Ah, sì. Sì, l'ho chiamato» annuisce dirigendosi al lavandino per potersi lavare le mani. «Domani mattina chiama il comune, ma è certo che si possa fare. Pensava che avremmo optato per la chiesa ma gli ho detto che ci siamo innamorati del posto e saremmo stati molto delusi se non avessimo avuto la possibilità di celebrare lì.»
«Giochi sporco. Mi piace» sorrido soddisfatta. Ancora una volta mi maledico. Dovrei cercare di scegliere meglio i termini che utilizzo.
«Domani ti va di fare un giro per cercare la sala da ricevimento? In settimana mia zia, la sorella di papà, mi ha mandato un paio di posti che penso potrebbero piacerci. Saranno tre, quattro sale» si avvicina e afferra il suo bicchiere.
«Certo. Siamo qui anche per questo. Non voglio rischiare che non ci sia disponibilità.»
«Siamo già abbastanza in ritardo, ma penso che potremmo trovare qualcosa. Che ne dici se incontriamo zia per il menù? È una chef, ha un ristorante a Covent Garden.»
«Mi sembra perfetto. Sono certa che a casa stiano già lavorando sul resto delle cose, ma a questo dobbiamo pensare noi.»
«Ho due proposte, per la prima potresti essere meno propensa ma tento comunque» mi osserva.
«Okay» allungo il suono della 'a' e lo guardo in attesa. «Ti ascolto.»
«Potremmo fare con più calma e restare una settimana, anziché tornare dopodomani. Voglio dire, c'è bisogno di tempo per questo genere di cose. E non voglio che ti accontenti.»
Rifletto su ciò che mi ha detto. Non posso negarlo, ha più che ragione, è solo che non voglio abusare della disponibilità del signor Morrison. Assentarmi una settimana intera è parecchio, soprattutto con pochissimo preavviso. «È troppo tempo» scuoto il capo. «Forse potrei chiedere fino a mercoledì e tornare giovedì a lavoro, ma non posso andare oltre. Ho bisogno di quel lavoro, lo sai» sospiro.
«Mi va bene, sempre meglio che scappare di corsa lunedì mattina.»
«Va bene, domani lo chiamo e vediamo se posso. Qual è l'altra richiesta?» chiedo curiosa.
«Ho cambiato idea: non è una richiesta, più un ordine. Indossa il costume, stasera stiamo a mollo nella jacuzzi. Fa freschetto, ma non c'è freddissimo, voglio approfittarne.»
«Io non ce l'ho il costume» gli faccio notare puntando le mani sui fianchi. «Pensi che ad aprile, a Londra, io avessi bisogno del costume?»
«Sì, visto che ti ho appena detto di indossarlo» mi punzecchia.
«Non me lo hai detto!» sbuffo.
«Sì che l'ho fatto. È solo che tu eri troppo impegnata a scattarti selfie sul divano di casa per accorgertene.»
Prendo un profondo respiro e butto fuori l'aria. «Era la golden hour, Harry, non potevo non farle. Pazzo.»
«Oh, certo, la golden hour! Come ho potuto parlare durante la golden hour!» esclama con finta disperazione mentre porta una mano alla fronte.
«Quanto sei cretino» trattengo a stento una risata.
«Indossa la biancheria o una maglietta, miss golden hour» mi prende in giro prima di uscire dalla cucina.
«Ma dove vai?!»
«A mettere il costume!» esclama. 

𝐀𝐔𝐑𝐎𝐑𝐀 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟐]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora