51.

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Trascorre una settimana.
Lavoro e torno in hotel.
Pranzo o ceno a casa dei miei e poi me la svigno.
Ripeto la stessa routine anche durante la seconda settimana, solo che arrivata a sabato la interrompo. O meglio, Ronan la interrompe. Presentandosi a casa di mamma e papà con la scusa di riaccompagnare Luna a casa. Escono insieme? Non lo sapevo. Beh, non che io sappia niente di quello che mi accade intorno, sono due settimane che mi piango addosso e prego tutte le sere che il cellulare si illumini.
Ronan mi rivolge uno sguardo attento, poi si avvicina. Sono svelta ad alzarmi e a liquidarlo con un veloce: «devo tornare in hotel», peccato che a lui questo non vada bene perché afferra il mio braccio e mi scorta fino alla porta con un semplice: «ci penso io ad accompagnarti, non è sicuro andare in giro da sole a quest'ora.»
Perché, che ore sono? Lancio uno sguardo all'orologio sul polso e strabuzzo gli occhi quando realizzo che sono le dieci e un quarto di sera.
«Dove alloggi?» chiede.
«Devo fare una deviazione» glisso la sua domanda iniziando a camminare.
«Ti accompagno.»
«Attento, se qualcuno ci vedesse potrebbe pensare male» accenno a una battuta pessima.
«Non siamo più nel Novecento da un bel pezzo. E poi, non me frega proprio niente di ciò che pensa la gente. A te sì?»
Rilascio un profondo respiro e sbuffo una risata per niente divertita mentre varco la soglia del primo locale che trovo. «So che giorno è solo perché lavoro, figurati se me ne frega un accidente di quello che mi circonda» prendo posto su uno sgabello.
«Hai intenzione di bere? Sul serio, Aurora?» sibila, in piedi al mio fianco.
Sollevo una mano e una cameriera si avvicina. «Posso avere una tisana rilassante? Preferibilmente con camomilla, melissa e biancospino. Un cucchiaio di miele. Da portare via.»
«Certo» sorride la donna. «Gliela porta subito. Altro?» accenna al mio accompagnatore.
«Un bel succo mango e pesca, magari si addolcisce» lo schernisco.
«Arriva» ridacchia la cameriera.
Era così divertente ciò che ho detto?
Sventolo una mano davanti al viso. Stasera fa particolarmente caldo e non mi piace. Tiro fuori il portafogli e metto sul bancone una banconota da dieci, poco dopo la cameriera ritorna e ci ringrazia afferrando il denaro.
«Tieni» cedo a Ronan il suo bicchiere mentre io prendo un sorso dal mio.
Il moro sospira e prende il bicchiere. «Avete intenzione di continuare ancora a lungo o ponete fine alla vostra miseria e tornate insieme?» chiede.
«Ha detto che ha bisogno di tempo. Glielo sto dando» ribatto, non sapendo cos'altro dire.
«Non ha bisogno di tempo, ha bisogno di te, genio» alza gli occhi al cielo.
«Lo spero tanto» mormoro.
Ronan mi avvolge le spalle con un braccio, inglobandomi totalmente. Ci dividono undici centimetri belli pieni e si vede. Sono alta per essere una donna, eppure lui mi fa sentire una bambina. «Vai da lui, Aurora. Fidati quando ti dico che non ti respingerà. Ha bisogno di te.»
«Era così deluso e innervosito...» sussurro.
«Sì, due settimane fa. Ora è più calmo, ma comunque non è semplice richiamarti. Quindi... vai tu da lui.»
«Sta ancora da Avery e Devon?» chiedo.
«No, sta da me al momento. Io non tornerò a casa stasera, ho un appuntamento, perciò campo libero» ghigna.
«Ah, pensavo uscissi con mia sorella» ammetto ad alta voce.
«Luna è solo una buona amica. E non ha nemmeno l'età per bere, santo cielo. Per chi mi hai preso?» sbuffa fingendosi indignato.
Per la prima volta mi ritrovo a emettere una risatina vera. È piccola, ma sono stata davvero io a produrla. «Io... non posso vederlo conciata così» indico i miei vestiti stropicciati e sciatti.
«Su questo concordiamo. Alloggi qui?» chiede quando ci fermiamo proprio davanti al mio hotel.
«Sì. Sali? Devi comunque essere tu ad accompagnarmi, io non ho la più pallida idea di dove abiti» mi gratto la guancia.
Ronan mi segue in ascensore, poi in camera. Non mi trovo in imbarazzo o a disagio, forse perché in queste settimane non ho provato chissà quali emozioni a parte la mancanza e la tristezza.
«Vuoi sapere dove abito?» un ghigno divertito gli incornicia il viso.
«Beh, sì» rispondo piantandomi davanti all'armadio. Non posso credere che lo stia facendo davvero. Sto andando da lui, dal mio Harry.
«Ho recentemente traslocato nel palazzo proprio di fronte a dove tu e loverboy abitate» sorride divertito.
Arrossisco fino alla punta dei capelli. «Q-quanto recentemente?»
«Diciamo il tempo necessario a beccare i miei vicini che ci danno dentro sul loro divano.»
«Oddio» quasi non mi strozzo con la mia stessa saliva.
«Rilassati. Me la sono squagliata all'istante» ridacchia. «Ci tengo a tenermi l'amicizia di Harry. Però vi consiglio di usare la camera da letto la prossima volta, non si può mai sapere chi ci trovate ai piani alti» mi concede un occhiolino prima di prendere un sorso del suo succo. «Accidenti, è davvero buono questo coso» si rigira il bicchiere in mano.
«Vado a farmi una doccia. Guarda pure un po' di tv se ti va» gli lancio il telecomando e mi ritiro in bagno.
Nella doccia, mentre l'acqua mi bagna da cima a fondo, non posso far altro che pensare a cosa succederà a breve. Mi urlerà contro? Mi dirà che adesso mi odia? Oddio, e se avesse iniziato a vedere un'altra? Se questa fosse l'occasione perfetta per informarmi che vuole chiedere il divorzio? Le gambe cedono, facendomi aggrappare istintivamente alle mattonelle. Ho riflettuto così tanto in queste settimane e sono arrivata alla conclusione che anch'io farei di tutto per lui, anch'io voglio tutto se c'è lui con me. E sì, questo include anche dargli un figlio. Magari non subito, ma presto. L'ho sognato qualche notte fa: reggevo un bambino biondo, con gli occhi color nocciola e lui mi guardava con quel sorriso sdentato mentre Harry faceva quei versi strambi che si fanno a tutti i bambini nati da poco. È stato bellissimo. Quando mi sono svegliata, poco prima di andare al lavoro, ho pianto come una dannata sotto il getto gelido dell'acqua. Non ho immaginato quel bambino in nessun altro modo perché non c'erano dannate comparazioni da fare. Fine della storia. E mi è andato bene così.
Mi affretto a chiudere l'acqua e con essa i pensieri. Ci andrò e da lì... improvviserò, non posso prepararmi nessun discorso se lui non sa del mio arrivo e io non so come reagirà. Indosso l'intimo, poi un paio di pantaloncini neri e un top lilla. Spazzolo i capelli e li asciugo, li pettino ancora una volta e apro la porta del bagno. Ronan è disteso sul mio letto, intento a guardare lo schermo del suo cellulare. «Fatto?» chiede.
«Devo mettere le scarpe e possiamo andare» dico dirigendomi verso il paio di vans che avevo lasciato fuori. «Perché non è ancora tornato a casa?» domando mettendo le scarpe.
«Dice che non se la sente per ora» risponde.
«Lo capisco. Andiamo» afferro la borsa e apro la porta della camera.
Raggiungiamo l'auto di Ronan parcheggiata sotto casa dei miei, prendo posto al suo fianco e inizio a giocare nervosamente con un filo sfilacciato dei pantaloncini. Ci dirigiamo verso Hanover Street, la strada è troppo familiare e quasi non mi fa salire le lacrime agli occhi.
«Pronta?» mi guarda dopo aver parcheggiato.
«No, nel modo più assoluto» apro lo sportello.
Ronan mi segue, saluta il portiere del palazzo e posa una tessera magnetica sul tastierino accanto all'ascensore. «Ecco, è fatta, adesso sa che sto salendo» sorride.
«Grazie» mormoro. L'attimo dopo gli sto stringendo le braccia al collo per un abbraccio.
Lui ricambia goffamente, lasciandomi piccole pacche sulla schiena. «Niente cose sporche sul mio divano, letto o qualsiasi altra superficie. Abitate dall'altro lato della strada, fatele a casa vostra quelle cose» mi punta un dito contro.
«Non penso ce ne sarà bisogno, ma va bene.»
Ronan mi saluta mentre le porte dell'ascensore si chiudono. Lancio uno sguardo al tastierino. Non ci credo, sta all'ultimo piano anche lui. Beh, ovvio, che mi aspettavo?
L'ascensore sale, sale e sale fino a quando non si ferma e le porte si aprono. I suoi occhi sbarrati sono la prima cosa che vedo.
«Aurora» bisbiglia.
«Harry.»

𝐀𝐔𝐑𝐎𝐑𝐀 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟐]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora