Oggi è una giornata nera. Non si tratta del ciclo, del tempo o di una sfilza di imprevisti che si sono presentati uno dietro l'altro, ma di quella sensazione di vuoto, di senso colpa che non provavo da giorni. Ho sognato Darren questa notte e il modo in cui mi guardava con disappunto mi ha messo i brividi, al punto che una volta sveglia avevo davvero la pelle d'oca su gambe e braccia. So che non si tratta di lui ma del mio cervello marcio che non fa altro che peggiorare la situazione, solo che i suoi occhi delusi sembravano così vividi... così impossibili da ignorare che non ho potuto fare a meno di pensarci ossessivamente.
Al lavoro mi comporto come al solito ma il signor Morrison capisce subito che c'è qualcosa che non va quando rifiuto il secondo caffè della mattina per continuare a lavorare sul nuovo mobile che ho tra le mani da lunedì. Anche Harry lo nota quando, per messaggi, gli rispondo più fredda del solito. Nel tardo pomeriggio, non appena concludo il turno e visto l'andare cupo dei miei pensieri, dovrei essere sollevata di notare il messaggio del biondo in cui mi dice che mi lascia in pace e che quando sarò pronta lo cercherò io stessa, eppure... non è così. È come se fossi continuamente combattuta: da un lato sento di starmi pian piano distaccando da Darren e mi sembra di ferirlo, dall'altro, però, so di ferire Harry nel momento in cui mi comporto così. Lo so perché adesso conosce i reali motivi dietro le mie assenze, i silenzi improvvisi e i pensieri torvi.
Rilascio un profondo sospiro e cerco il familiare numero in rubrica, poi avvio la chiamata.
«Ehi. Stai bene?»
«Ehi» deglutisco, mandando giù il nodo in gola che sembra stringermela in una morsa da tutto il giorno. «Hai un paio d'ore libere?»
«Dove sei?»
«Appena uscita dal lavoro» rispondo, mordicchiando il labbro inferiore l'attimo dopo.
«Sto arrivando.»
Breve e conciso, proprio come lui. «Okay, ti aspetto all'angolo allora, così non hai bisogno di fare il giro.»
«Va bene» concorda un secondo prima di attaccare.
Ripongo il cellulare nella tasca del chiodo e mi avvio all'angolo. Stringo il colletto, coprendomi dall'improvvisa sferzata di vento che mi colpisce. Forse non è stata poi una così tanto buona idea quella di indossare la giacca di pelle, solo che sembrava esserci una giornata calda e al lavoro non ho sentito chissà quale freddo, perciò, ho dedotto che andasse bene. Le temperature devono essere scese nelle ultime ore e io non me ne sono nemmeno accorta talmente assorta nei miei pensieri.
La familiare Camaro nera rallenta proprio davanti a me, mi affretto a girare e prendo posto sul sedile del passeggero. Devon allunga una mano sui sedili posteriori, tira qualcosa che non riconosco e la rilascia sulle mie gambe. «È il plaid di Furia, ovviamente è pulito. Mettilo sulle gambe, sembri gelata» dice ripartendo.
«Davvero gli avete comprato un plaid con altri furetti stampati sopra? Non è una cosa un po' inquietante?» domando sistemando il plaid sulle gambe.
«L'ha ordinato Avery quando ero al lavoro. Io avevo optato per le scarpe, visto che vive dentro le mie, ma Avery ha pensato che quei furetti fossero troppo 'teneri'» mima le virgolette. «Ha detto che non voleva far sentire solo Furia e quindi... plaid con furetti perché la mia ragazza ha deciso così e non c'è possibilità di discussione» spiega massaggiandosi il mento mentre continua a guidare.
Percepisco una lieve rassegnazione mista all'abitudine e questo porta al primo vero sorriso della giornata. Mi stupisce sempre così tanto il modo in cui qualche volta riesco a scorgere frammenti del vecchio Devon. Non penso che smetterò mai di ringraziare Avery per questo. Cocciuta com'è, con quella lingua biforcuta che si ritrova, è riuscita a far strisciare Devon Bradshaw ai suoi piedi, ma la cosa più fenomenale rimane proprio l'amore che li lega. Non si è trattato di farlo strisciare solo per il piacere di vederlo fare, ma di avere una sua dimostrazione, di avere una sua reazione all'assenza che Avery aveva lasciato nella sua vita. E sono contenta per loro, felice che abbiano trovato una routine, un equilibrio, che si amino talmente tanto da farlo vedere anche quando battibeccano come una vecchia coppia sposata o Avery lo fa impazzire con le sue uscite bizzarre che pian piano stanno iniziando a coinvolgere anche me.
«Pensi che sposerai Avery un giorno?» chiedo dopo qualche minuto di silenzio.
«Certo» risponde senza alcuna esitazione.
«Davvero?»
«A lei piacerebbe e io non ho alcun problema con il matrimonio. Ma mi sarebbe stato bene anche se non avesse voluto. A me importa solo di starci insieme» spiega tranquillo.
È proprio di questo che intendo quando parlo del mio vecchio migliore amico: spontaneo, tranquillo, senza peli sulla lingua e con l'aria rilassata di chi ha tutto quello che desidera dalla vita. Ed è così. Devon ha tutto quello che desidera. È felice. Rilassato. Meno scorbutico di quanto lo fosse prima.
«Dove andiamo?» mi chiede.
«Al cimitero» rispondo cauta.
Lo vedo inspirare e poi rilasciare un lungo sospiro. «Okay» mormora.
Il resto del tragitto verso il Mount Auburn Cemetery trascorre in silenzio. Non c'è nulla da dire e penso che a Devon serva questo tempo – seppur breve – per realizzare la cosa. L'ultima volta che sono stata qui risale a settembre dello scorso anno, quindi all'incirca sette mesi fa. Ho vagato per tutto il parco, realizzando di averci trascorso tre ore. Potrebbe sembrare una cosa macabra ma il Mount Auburn è davvero il posto più pacifico dove riposare e apprezzo tanto che Darren si trovi lì. C'è un meraviglioso laghetto dove tante persone si fermano per meditare, pregare o semplicemente ammirare il lavoro impeccabile della natura. Essendo parecchio ampio, questa volta suggerisco a Devon di entrare con la macchina e parcheggiare proprio accanto al laghetto.
Quando lasciamo il calore dell'auto veniamo investiti dall'aria più fredda, sono le cinque e mezza e le temperature iniziano a calare drasticamente. Devon si piazza al mio fianco e insieme percorriamo il sentiero che porta alle tombe. Non ci vuole molto prima di trovare quella di Darren. Devon è rigido come un ciocco di legno al mio fianco, ma lo comprendo in pieno. Non è facile per me, figuriamoci per lui che non mette piede qui dentro da anni. Credo ci sia stato solo due volte. Non gliene faccio una colpa, però. Non reagiamo tutti allo stesso modo di fronte alle morte, soprattutto se si tratta di persone care.
Mi chino davanti al marmo freddo dove il suo nome è inciso. Brucia lievemente al tatto quando sfioro le lettere. Adesso è quasi impercettibile ma i primi anni... non riuscivo nemmeno a guardarlo quel nome, mi rifiutavo categoricamente di alzare lo sguardo. Fissavo la data di nascita e quella di morte e scuotevo il capo, a ripetizione, mormorando una cantilena di 'no'. So di aver attirato l'attenzione di parecchia gente negli anni, percepivo i loro sguardi carichi di pietà e dispiacere e solo allora me ne andavo. Frugo nella borsa e poso una caramella gommosa sul prato ordinato e verde. Darren era un amante delle caramelle gommose alla frutta, ne mangiava a bizzeffe e io e Devon lo prendevano in giro sul fatto che prima o poi avrebbe indossato la dentiera a trent'anni a furia di masticare tutto quello zucchero. Peccato non ci sia mai arrivato ai trenta.
«Le tieni ancora?» domanda, la voce rauca.
«Sì. Erano lì da un po'. Ho pensato di controllare e le ho trovate» rispondo.
«Quindi non le hai comprate apposta.»
«No» rivelo veritiera. È un'ammissione che soprattutto oggi sembra pesarmi più del solito ma quando realizzo che non ho davvero più comprato caramelle gommose da settembre... ovvero l'ultima volta che sono stata qui, la cosa mi colpisce in pieno viso. È assurdo. Non ci ho nemmeno fatto caso.
«Bene. Continua così.»
«Stanotte l'ho sognato. Era deluso. È stata una giornata più che nera» ammetto giocherellando con un filo d'erba leggermente umido.
«È per questo che mi hai chiamato anziché sfrecciare dal tuo fidanzato?» chiede.
«Avevo bisogno di capire. Mi sono sentita in colpa mentre mi guardava.»
Devon sospira e si china al mio fianco. «Non può essere deluso. E sai perché?»
Volto il capo nella sua direzione e lo guardo in attesa. «Perché?»
«Perché Darren non c'è più e non ha niente per cui essere deluso, soprattutto da te. Smettila di punirti inconsciamente per qualcosa che nemmeno esiste.»
«Non hai visto come mi guardava...» mormoro.
«Lo so come ti guardava, Rori. Lo so perché fino a qualche mese fa era lo stesso sguardo che sognavo io» si indica poggiando una mano sul petto. «Poi ho incontrato Avery e dopo aver rischiato di perderla... ho fatto lo sforzo di parlare più di lui, di raccontarle com'era, cosa gli piaceva... è per questo che ho accettato di essere qui con te oggi.»
«Dev» sbatto le palpebre per scacciare le lacrime che minacciano di bagnarmi il volto.
«Va bene parlarne anche con Harry, ti capirà, ma piantala e dico davvero, Aurora, piantala di crogiolarti in una colpa che non esiste. Cazzo, dovrei essere io quello divorato dai sensi di colpa per non visitare la tomba del mio migliore amico da anni, ma non mi sento più così perché non posso cambiare le cose. Posso solo vivere il doppio, farlo anche per lui. Ed è quello che dovresti fare anche tu» mi punta l'indice contro. «Adesso ce ne andiamo. Dove ti porto?» chiede.
Dall'unica persona a cui devo porgere delle scuse e che muoio dalla voglia di vedere.
«Da Harry.»
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𝐀𝐔𝐑𝐎𝐑𝐀 [𝐁𝐨𝐬𝐭𝐨𝐧 𝐋𝐞𝐠𝐚𝐜𝐲 𝐒𝐞𝐫𝐢𝐞𝐬 𝐕𝐨𝐥.𝟐]
ChickLit𝐒𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐨 𝐯𝐨𝐥𝐮𝐦𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐞𝐫𝐢𝐞 𝐬𝐩𝐢𝐧-𝐨𝐟𝐟. 𝐏𝐮𝐨̀ 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐬𝐭𝐚𝐧𝐝𝐚𝐥𝐨𝐧𝐞 𝐦𝐚 𝐩𝐫𝐢𝐦𝐚 𝐬𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐢𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐥𝐚 𝐥𝐞𝐭𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐝𝐢 𝐀𝐯𝐞𝐫𝐲 𝐩𝐞𝐫 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐫𝐞𝐧𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐦𝐞𝐠𝐥𝐢𝐨 �...