Capitolo 57 - Poco meno di un ricordo

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Era solo.

Non la solitudine che aveva sempre cercato, che aveva dovuto guadagnare a caro prezzo, torturando e respingendo gli altri maghi che venivano da lui a prostrarsi o ad implorare.

Nessun altro mago poteva comprendere quella solitudine, perché nessun mago si era spinto così lontano quanto lui, lungo la via della grandezza.

L'Oratore era polvere che si accumula ai lati della strada. Anzi, anche la polvere aveva più consistenza e potere di lui. Si era ridotto ad un insieme di urla disperate che nessuno era in grado di ascoltare.

Aveva visto il mondo, il suo mondo, esplodere in un tripudio di risate e festeggiamenti ed aveva capito che era per via della sua scomparsa.

Lui vagava urlando, furia che si abbatteva con la potenza di un uragano, ma non era che un urlo incorporeo che nessuna bocca avrebbe mai raccolto e nessun orecchio udito mai più.

Aveva aggredito la donna che portava fuori i boccali di birra dalla locanda. Era riuscito a sollevare l'orlo del suo grembiule.

Era precipitato come una furia su dei bambini che giocavano a palla. La traiettoria della palla del più giovane dei tre aveva avuto una deviazione minima. Due centimetri, al massimo. Il piccolo gli era passato attraverso senza nemmeno smettere di sorridere.

Aveva fatto decine di cose del genere con risultati analogamente ridicoli, poi semplicemente aveva smesso di provarci ed aveva urlato, urlato ed urlato, circondato dall'invisibilità di uno stato che non era la morte. La morte sarebbe stata di gran lunga preferibile a quell'orrore.

L'Oscuro Signore era fuggito verso le foreste.

Non aveva occhi, eppure vedeva dove andava, vedeva gli alberi, il cielo, la luna, il sole, il mondo e le persone.

Non aveva gambe, ne' braccia, ne' Bacchetta, ne' Poteri, eppure poteva guardare il mondo dall'alto, volare. Non sapeva se fosse una qualche vestigia del potere che aveva accumulato, lo stesso che gli impediva di scivolare via. Sapeva solo che continuava ad esistere, anche se tanta parte di lui era scomparsa.

L'Albania, la zona meno abitata, gli aveva dato pace per qualche giorno. Si era rifugiato nel cavo di un albero. Lo scoiattolo che vi aveva trovato non si era neppure reso conto della sua presenza. L'Oscuro Signore avrebbe voluto impadronirsi di quella forma viva, calda, in grado di pensare in modo logico e di rosicchiare beatamente la sua cena. Non poteva. Non ne aveva le forze.

Dopo un po' era fuggito anche dal confortevole nucleo di legno. La vista dei viventi gli faceva orrore.

Non aveva mai provato niente di simile.

Li aveva odiati perché non volevano capire che stava facendo la cosa giusta.

Li aveva disprezzati quando non si piegavano a lui.

Ma non li aveva mai invidiati. I viventi.

*

Non voleva rivedere nessuna delle facce che lo avevano adorato e temuto, non adesso che erano separate da lui, oltre un velo così sottile eppure così definitivo. Ma vederli ridenti, felici, anche se lo disgustava era l'unica cosa che potesse fare, in quell'eternità di nulla.

Così sorvolò la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, e vide Minus magro, patetico e spelacchiato, racchiuso nella sua ampolla di vetro a prova di rottura.

Sorvolò il cimitero di Godric's Hollow e rise - o qualcosa di orrendamente simile - nel leggere il nome inciso sulla lapide lucidata e piena di fiori ed omaggi - 'James Potter'.

L'erede d'autunno - Lucius Malfoy, una storia diversaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora