- quarantadue -

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× Rientrati a casa, Paulo lascia Mariam per terra e va a sistemare il borsone nella sua stanza, portando i vestiti sporchi in bagno per metterli nella lavatrice.

"Paulo.." la chiama Serena.

"Dimmi." dice.

"Possiamo.. parlare per un attimo, perfavore?" chiede.

"E di cosa?"

"Sai di cosa parlo." sospira, passando una mano tra i capelli castani.

"Non voglio litigare e sono abbastanza sicuro che non lo vuoi nemmeno tu." la supera per poi tornare a fare quello che stava facendo.

"Possiamo anche parlare civilmente senza discutere." lo raggiunge ancora. "Ti prego."

Incontra il suo sguardo e sospira, sedendosi sul bordo del letto mentre lei rimane ferma sulla soglia della porta a fissarlo in attesa di una risposta.

"Di cosa vuoi parlare?"

"Ecco.. mi dispiace per quello che è successo prima." gioca con le maniche della felpa.

"C'è qualcosa per cui dovresti essere dispiaciuta?" domanda lui.

"Eh?" chiede confusa.

"Non lo so Serena, arrivo lì e trovo mia figlia piangere mentre mi indica quella tizia lì con cui stavi parlando tu. Che cosa ti ha detto per aver fatto piangere Mariam?" è arrabbiato, non sopporta vedere la sua bambina piangere, specialmente quando è colpa di altri.

"Lei non ha detto niente, o almeno.. niente che Mariam possa capire. Credo si sia spaventata perché ho alzato la voce ma non contro di lei, contro.. la tizia." la chiama allo stesso modo in cui ha chiamato lei.

"E perché hai alzato la voce?"

"Perché mi ha fatto arrabbiare." abbassa lo sguardo.

"Puoi essere più specifica?"

"Le stavo chiedendo delle spiegazioni quando Mariam è arrivata. La guardava ed ha detto che non sarebbe stata lei a cambiare le cose, mi sono arrabbiata con lei e le ho detto che non può dire queste cose dato che è la sua mamma." soffia fuori, poggiando poi lo sguardo sul mobile alla sua destra.

Paulo abbassa lo sguardo e sospira, stringendo il materasso tra le mani mentre muove nervosamente la gamba sinistra e si mette in piedi, tirando leggermente le ciocche dei suoi stessi capelli.

"So che vuoi bene a Mariam, so che la ami da morire ma non voglio che tu la costringa ad essere vicina alla donna che l'ha abbandonata, che sia sua madre oppure no." cerca di parlare col tono più calmo di questo mondo, vedendo che non riesce nemmeno a mantenere un contatto visivo con i suoi occhi. "Non voglio che faccia parte della sua vita, lo ha deciso lei un anno e mezzo fa."

Annuisce senza dire niente, sentendosi in colpa per aver fatto quel che ha fatto, anche se non ha agito con malizia nei loro confronti. Sperava di capire cosa ci fosse che non andasse ma invece non ha ottenuto nient'altro che un'altra pugnalata in pieno petto che l'ha ferita ancora una volta. Lui le si avvicina e poggia due dita sotto il suo mento, alzandole il viso così da guardarla negli occhi.

"Scusa." mormora.

"Non mi devi chiedere scusa." sospira, abbracciandola poco dopo. "Ma dico sul serio, non voglio mai più vederla in vita mia."

"Ok." si limita a dire, accarezzando la sua spalla.

"E nemmeno tu devi vederla più." aggiunge poi.

"Perché?"

"Perché ti fa male ogni volta, amore." le accarezza le guance con i pollici. "E non voglio vederti triste per colpa sua, non ancora una volta. Sono stufo di lei e di tutto quello che la riguarda."

"E Mariam?"

"Mariam non riguarda lei, riguarda me." specifica. "E te." continua dopo. "Va bene?"

"Sul non doverla rivedere più?" domanda per essere sicura.

"Si." risponde e lei annuisce poco dopo, sapendo che, forse, è la scelta giusta.

"Non è che l'abbia voluto vedere di proposito, era seduta accanto a me e l'ho riconosciuta solo quando ha detto quello stupido detto sugli uccelli e qualcosa del genere." mormora contro la sua spalla.

"Non ha importanza." si stacca e le lascia un bacio sulle labbra. "Voglio essere felice insieme a voi due, senza nessun altro in mezzo. Solo me, te e Mariam."

Annuisce con un piccolo sorriso che serve a tranquillizzarlo. Ne accenna uno anche lui, poi le lascia un altro bacio e si stacca, andando verso il salone dove la piccola sta giocando con le sue bambole. Sarà pure che non vuole parlarne o che non vuole vederla, eppure quando si sofferma a guardare la parete vuota le da l'impressione che non sia cambiato molto rispetto a qualche mese fa. Sa che, per quanto potrà negare di farlo, sta pensando a Martina, a quell'incontro, a quanto sia diversa adesso e forse a com'era prima. Sospira e si siede sul bordo del letto, sentendosi inaspettatamente piccola d'un tratto, come se tutti gli altri fossero stati sempre giganti in confronto a lei. La sua vecchia amica per prima. Prende il labbro tra i denti e passa una mano sul viso, coprendosi gli occhi al pensiero di essere di troppo. Non ha idea del perché sia tornata a Torino, anzi, non sa nemmeno se abbia mai effettivamente lasciato la città dato che non l'avrebbe riconosciuta nemmeno se non fosse per quella frase. E se fosse tornata per Paulo? Alla fine a lui non ha detto niente, nonostante le parole poco gentili rivolte alla piccola Mariam che non ha nemmeno capito di aver di fronte la donna che l'ha messa al mondo e che adesso dovrebbe essere insieme a lei. Magari seduta con lei e il suo papà sul divano, intenti a giocare e coccolarsi. Più pensa alla famiglia della bambina e più immagina Martina accanto a Paulo, a sostenerlo, supportarlo, amarlo, viverlo giorno dopo giorno. Più ci pensa e più si sente insignificante e piccola.

"Nena." la chiama la vocina della bambina mentre le tira la felpa.

"Dimmi." mormora, vedendola mentre si arrampica sul letto e si sistema sul suo petto, chiudendo gli occhi.

Chissà se avrebbe fatto lo stesso se avesse avuto una madre accanto che le avrebbe sempre offerto il suo petto ed il suo cuore come gesto estremo per provare il suo amore.. sente di non volere una risposta, forse ha troppa paura di sapere che Mariam non l'avrebbe nemmeno mai abbracciata se Martina fosse stata lì, al posto suo.

. . .

Uno di questi giorni / Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora