Capitolo 21

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Il villaggio di Rulik gioiva di una libertà rinnovata. Nei giorni di riposo, però, in piazza si udivano piccole preghiere rivolte a una ragazza che da tempo nessuno più incontrava per strada. Il suo nome era Trezia, e Miza, che passeggiava in linea retta di fianco al parco dove era solita incontrarsi con i suoi amici, con un sospiro ricordava la storia che visse con i suoi stessi occhi.

Spesso la ragazzina passava il suo tempo guardando le giovani figure divertirsi in lontananza, intenti a spingersi sulle altalene o rincorrersi lungo piccoli tratti dove l'erba era più rigogliosa all'interno dell'enorme cava. E poi, di tanto in tanto, incrociava un gruppo di persone.

Il quartetto di amici sorrideva, scambiandosi occhiate divertite mentre passeggiavano tranquilli vicino il parco. Era allestito con diverse attrazioni per bambini, tra cui scivoli e zone aperte per praticare i loro sport preferiti. Il calcio e, in generale, giochi dove la palla veniva spinta con mani o piedi era presente anche nel mondo di cui Lawnard aveva preso parte. Ma la storia che Miza stava raccontando era solo un frammento destinato a non incrociarsi mai con la realtà.

«Eh, già. Eravamo piccoli, ma non più di quelli lì che si lanciano la sabbia. Quello è semplicemente disgustoso, e sporcano ovunque!»

«Goi, non dire così. Sappiamo tutti che eri anche peggio da piccolo.»

La conversazione a cui Miza aveva prestato attenzione era tra due del quartetto, in particolare tra il ragazzo più grande – distinguibile, secondo lei, dalla particolare capigliatura appuntita e tirata all'indietro sui capelli neri e ben curati – e una ragazza il cui nome era Dola, che presentava dei boccoli colorati di rosa in una tinta chiara e appariscente.

Gli altri due, in sottofondo, ridacchiavano nel tentativo di non farsi sentire. Erano due ragazzi, due gemelli, con un paio di capelli biondi a caschetto spettinati. Il loro nome era Den e Ren, e non erano particolarmente noti per le loro interazioni sociali: al contrario, Dola e Goi si stupirono di sentirli ridacchiare di loro.

«Eh, un tempo avreste fatto finta di nulla... Ora non sapete proprio farvi gli affari vostri, mh?» Goi apparve sorprendentemente divertito, mentre con una mano si faceva passare una bluastra sciarpa attorno al collo.

«Mi raccomando, non prenderti un raffreddore. Oggi fa particolarmente freddo!» Dola lo punzecchiò, contribuendo all'imbarazzo provato dal ragazzo nel sentirsi trattato come un bambino.

La realtà era che Miza doveva accettare che i suoi vecchi amici erano cresciuti – infatti tutti e quattro dovevano aggirarsi sulla trentina d'anni – ma che, nonostante la sua mancanza, avevano continuato a incontrarsi e a rimanere loro stessi. Li osservava giorno e notte, li aveva visti crescere a molte volte osava fare finta di essere lì, con loro, a ridere e scherzare. Seguiva i loro discorsi, i loro litigi, i loro amori. E a volte i loro momenti peggiori.

Ma sapeva di conoscere qualcosa che loro non conoscevano di loro stessi. E quella cosa era che gli voleva ancora bene, nonostante tutti quegli anni. Nulla era cambiato per lei. Il suo rimpianto, soprattutto, rimaneva una costante alla fine della giornata.

Ogni giorno guardava la realtà che peccava della sua presenza, oltre che quella di Trezia, ed era obbligata a crogiolarsi nuovamente nella propria consapevolezza di non poter prendere più parte a nessuna delle loro attività preferite. E poi, una cosa che l'aveva profondamente scossa era che Goi e Dola avevano recentemente deciso di sposarsi. Erano i suoi migliori amici d'infanzia, e ora, mentre la sua persona giaceva ancora nel corpo di una gracile bimba, li guardava scambiarsi gesti d'amore e stringersi la mano senza chiamarsi più "amici" ma "marito e moglie".

Tutto ciò era così lontano da quello a cui era abituata che per del tempo aveva perfino deciso di evitarli. Voleva restare tra sé e sé e non vedere nessuno: inoltre, si ricordò che prestò visita a Trezia soltanto una volta durante la sua permanenza nella sua "trappola esistenziale" che era la sua Pozza dell'Idealismo. Il giorno in cui si fece strada, invisibile, tra le guardie che bloccavano l'ingresso alla Villa Rema, il luogo dove giaceva la ragazza, la trovò a sorridere tra sé e sé.

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