Capitolo 48

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La struttura metallica e ricoperta di roccia dell'armatura rimaneva immobile, quasi rappresentando un tutt'uno con l'ambiente circostante. Valk aveva studiato quella cosa dal momento in cui era apparsa e non aveva intenzione di tirarsi indietro di fronte a essa.

Mentre camminava con fare quasi ammansito in sua direzione, di tanto in tanto tendeva l'orecchio ad ascoltare un'eco del passato. L'immagine di Reux era ricorrente, al punto da ricordare momenti vissuti insieme sovrapponendoli all'ambiente circostante: fantasmi di anni prima si palesavano come danzando, scendendo nella loro infinita trasparenza e luminescenza nel mondo che era il presente.

Allungando il braccio, il suo desidero era afferrarli – ma erano troppo distanti, sapeva di non potercela fare. Eppure le dita guantate puntavano in alto, verso qualcosa di inafferrabile ma di forte impatto sensoriale. C'era qualcosa nell'aria che respirava che gli ricordava tutto ciò, un momento di nostalgia perso nel tempo che difficilmente avrebbe ritrovato in futuro.

A pensarci, il caldo abbraccio dell'abbandono del proprio obiettivo è quasi allettante pensò, se Reux e Lawnard riuscissero a scappare, la mia scelta egoista verrebbe sepolta per sempre assieme a tutto il resto. Io e questa creatura infernale potremmo riposare in pace. Farsi strada nel luogo da cui è venuta, però, è l'ultima delle cose che vorrei. Ma le cose andranno diversamente.

La mano di Reux si allungò in direzione del compagno, con i denti stretti e il sudore che scendeva a fiotti dalla fronte. «Dannazione, non ci provare!»

Valk si voltò lentamente. Il suo sguardo era perso, ma fisso in una direzione dapprima prestabilita. «Reux, esiste un altro modo?»

«Eh?» Lawnard aveva indietreggiato nel sentire il tono con cui le parole fuoriuscirono dalla sua bocca. Nel tentativo di staccare le rocce che avevano preso a bloccare i movimenti del compagno, alcune avevano penetrato le sue gambe con forza, portandolo a stringere i denti fino a poterlo notare sanguinare. Valk non si smosse, restando in piedi con la schiena dritta e il respiro affannato.

Lawnard! Esclamò Weiss notandolo soffrire. Che cosa succede?

«Valk, perché di punto in bianco ti stai comportando in questo modo?» chiese Lawnard rimettendosi in piedi con fatica. Il suo tono era severo, le sue sopracciglia piegate dalla rabbia. «Quella è la voce di un idiota pronto a buttare la sua vita. Perché... mi dai l'impressione di voler morire?»

Valk sorrise brevemente. «Non voglio morire. Il mio unico desidero, dal momento in cui sono venuto al mondo, era quello di sopravvivere in questo mondo per scoprirne la bellezza. Fino a quando non conobbi Reux, questo è quanto.»

Reux aguzzò la vista, forzando la propria strada verso di lui venendo più volte infilzato dalle rocce aguzzine che salivano dal suolo.

«È stupido restare a parlare. È chiaro quale sia il piano di quella cosa, ora» commentò Valk rivoltandosi in sua direzione. «Mentre parliamo, sotto di noi resterà nient'altro che una colonna. Quando anche l'ultimo centimetro di roccia verrà spezzato, tutti noi verremo sepolti dalle macerie. Ma ciò non sarà lo stesso per lei. L'energia la tiene fissa nello spazio, anche senza un appoggio troverà sempre un modo per uscire di qui. Ma noi? Dei semplici esseri umani contro una divinità inamovibile. È questo che siamo, alla fine.»

«Un discorso nichilista simile come dovrebbe aiutare?» chiese Lawnard reggendosi a terra con una mano.

«Nichilista? Non conosco questa parola.» Valk indicò con la mano la frattura nell'armatura, al centro del petto. «Sembra che, nonostante tutto, la roccia non raggiunga mai il suo interno. Come un involucro invalicabile. Ma non per noi.»

«Cosa...?» Lawnard corrugò maggiormente le sopracciglia, non capendo.

«Quei medaglioni. Mostratemeli.» Lawnard prese dalla tasca il medaglione regalatogli da Zyka per poi frugare nella tasca dei pantaloni di Reux, estraendo quello che teneva con sé, mostrandolo con incertezza al compagno. Prima ancora che la luce lunare si riflettesse sulla sua superficie, Valk li prese dalle sue mani e lo fissò da vicino. Facendoli roteare tra le dita, li fermò all'interno del suo pugno. «Ogni essere vivente produce energia, in qualche modo. Anche respirare consuma e crea energia, c'è uno scorrere ciclico e perpetuo che ha, tuttavia, una fonte. Il cervello.»

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