Capitolo 40

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Un uomo dai lunghi e lisci capelli biondi raccolti in due trecce laterali poste dietro la testa giaceva a terra col volto rivolto verso il pavimento di pietra ricoperto di polvere e ciottoli. Il gocciolare perpetuo di una fonte d'acqua nelle vicinanze gli fece credere di essere morto. Tuttavia la sua spada, rimasta nel fodero dopo l'impatto, era l'unica cosa in grado di stringere per rendersi conto di essere ancora vivo.

"Rialzati, Gan! Devi muovere le tue gambe, sfodera la tua arma senza pensarci due volte! Fino ad ora hai lasciato lottare qualcuno più giovane di te, non è un comportamento scadente e deplorevole il tuo?!"

Stringendo il pugno, il guardiano si resse sulle proprie ginocchia e cercò un appoggio per rialzarsi. A conti fatti doveva essere precipitato per circa venti metri, anche se la presenza di un piccolo corpo d'acqua creatosi subito dopo il sisma prodotto dall'armatura gli aveva fatto scampare morte certa. Ora giaceva poco distante da esso, con metà corpo ancora immerso e il capo che faticava a rialzarsi. Le gambe erano come due macigni da sollevare utilizzando l'intera forza fisica.

«Dove... mi trovo?»

Guardandosi attorno, Gan Oleiros si rese conto di avere la visuale estremamente limitata. Sopra di sé si ergeva un foro asimmetrico che conduceva in superficie, da cui continuava a cadere acqua nella pozzanghera abbastanza fonda da averlo salvato da un impatto mortale. Ciò di cui era sicuro, oltre di essere vivo, era che sarebbe stato praticamente impossibile cercare di risalire allo stesso modo in cui era caduto.

Stringendo la mano a pugno, tutto ciò che gli rimaneva era una manciata di residui rocciosi pronti a sgretolarsi come tutto il resto. Non vi era nessuno con lui, solo se stesso e i propri pensieri. A un certo punto arrivò anche a voler ricostruire tutti gli eventi che lo avevano portato a quel momento, un modo pigro e procrastinatore per evitare di rialzarsi e mettersi all'opera. Ora che nessuno lo vedeva, forse sarebbe stato capace di riposare.

"No. Devo alzarmi. Loro hanno bisogno di me. Anche lei ha bisogno di me."

Voltando lo sguardo, sulla superficie della pozzanghera illuminata dal chiarore lunare proveniente dal foro sul soffitto della galleria galleggiava silenzioso e indisturbato un leggiadro fiore di loto dai petali bianchi tendenti al rosa. Un unico fiore, che si dice cresca anche nel fango, a rappresentare la speranza che mai sarebbe dovuta scivolargli di mano.

Quando da giovane si era sottoposto al ruolo di guardiano del villaggio, Gan non era da solo. C'era una squadra che considerava la sua famiglia: vivevano tutti nello stesso angolo della cittadina più in prossimità del suo ingresso, condividendo lo stesso compito ma anche grandi ambizioni. La sua indole altruista fu la più forte e resistente di tutti, in quanto anche dopo aver rischiato l'occupazione da parte dei Silvist egli rimaneva imperterrito a vegliare sulle persone che amava indossando armatura e sfoggiando l'arma che reggeva immaginando a tutte le scelte di vita che avrebbe dovuto compiere in futuro.

"Sarei stato capace di uccidere Kraig? Io? Un semplice guardiano nella media?"

Mentre rifletteva sul patto tra lui e Trezia, l'immagine della giovane donna dall'aspetto ingannevole gli apparve vivida, quasi tangibile. Forse ora che aveva esaudito il suo desiderio sarebbe stato più semplice abbandonarsi a se stesso e rinunciare a quei compiti portati avanti con stupidità ed egoismo, una serie di decisioni personali prese con la scusa di poterla salvare con le proprie mani.

"Invece è stato solo grazie a tre ragazzini provenienti da al di là delle mura che ora il villaggio di Rulik può mostrare il suo affetto alla sua icona. Io, da solo, non sono riuscito a fare nulla. Ciò è inevitabile. Per cui, se fossi stato io al loro posto... sarei riuscito a uccidere...?"

Dei passi lenti e pesanti si udirono in lontananza.

"Lawnard? Sei tu? No... non sono passi normali. Devono per forza appartenere a qualcuno dalla stazza spropositata, come ad esempio..."

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