Nove: Se vuoi vivere

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«Andate. Presto.» disse l'uomo pelato nel completo blu. La sua voce giungeva strana, come quella di un altoparlante rotto. Ma forse era normale, visto che metà della sua faccia era stata appallottolata su se stessa, al pari di un'auto in un demolitore.

Evan aveva occhi grandi di meraviglia e terrore. Era così istupidito dall'assurdo che gli era capitato quella sera, che si era piantato in fondo a quel vicolo e non riusciva a muoversi. Nemmeno Steve pareva in grado di scuoterlo stavolta.

«Evan! Evan, andiamo!» disse urgente, tirandolo per il braccio, «Ti prego, Evan!»

Quando Espen gli colpì la schiena con la bocca ancora illuminata della sua arma videoludica, il ragazzo si ridestò. Fu il peso del cannone - vero, reale e solido contro di lui - a smuoverlo, a fargli ricordare dove si trovava e con chi. E a gettare la sua mente al limite dell'umana accettazione dell'irreale. Steve lo tirava come una bambola di pezza dietro di sé ed Evan oppose la stessa resistenza. Proseguiva per inerzia, seguendo Nigel ed Espen, convinto che si trattasse di un sogno e solo in parte conscio che fosse invece tutto vero.

Di punto in bianco, Nigel cadde. Imprecò e si rialzò carponi. Si guardò intorno confuso, mentre Espen lo superava.

«Che ti prende?!» esclamò, ma grugnì, non appena qualcosa la colpì all'addome. Si accasciò, anche se non c'era nulla contro cui avrebbe potuto sbattere.

Main Street era vuota, salvo che per le macchine parcheggiate ai lati della carreggiata. Ma loro correvano in mezzo. Steve ed Evan si guardarono attorno, guardingo uno, spaventato l'altro. Il primo avvertì dita invisibili afferrargli il polso e staccargli la mano da quella del secondo. Subito si voltò e fece per prendergli l'altra, ma qualcosa o qualcuno gli falciò le gambe e finì a terra. Evan indietreggiò, gli occhi grandi di paura.

«C-che-c-c-che succede?» balbettò, un'imprecazione, una supplica, un piagnucolio. Non si capiva bene che tono avesse dato alla sua domanda.

«Evan!» esclamò Steve. Si era rialzato e gli si era avvicinato, con l'intento di afferrargli di nuovo la mano e calmarlo. Poi, vide qualcosa dietro all'amico.

I capelli sudati sulla nuca di Evan si drizzarono e, d'istinto, il ragazzo si gettò in avanti. Barcollò e, se le braccia di Steve non lo avessero preso al volo, sarebbe caduto lungo disteso. Una volta drizzatosi, si volse a guardare a cosa era scampato.

Era comparsa una donna. Doveva avere trent'anni circa ed era fasciata in una tuta con uno scollo a V. Ai piedi calzava un paio di logori stivali, in netto contrasto con il tessuto elegante dell'indumento principale. Li fissava con un'espressione torva sul bel viso allungato ed Evan sentì le braccia di Steve scaldarsi leggermente.

La sconosciuta alzò i pugni; le sue mani erano ricoperte da segni cabalistici, che parevano intagliati nella pelle, come se qualcuno ce li avesse incisi con un coltello.

«Ferma!» le intimò Espen, puntandole addosso la BFG9000.

La Marchiata prima invisibile non ne sembrò intimorita.

«Tu sei Nika Sokolov.» affermò la ragazza dai capelli rosa.

La russa sbuffò: «E tu sei finita!»

Nigel sollevò il braccio sinistro e si preparò a spararle contro, ma una mano lilla gli si chiuse sul polso tatuato.

«Ohayou Gozaimasu!» esclamò gioviale un ragazzo, facendogli l'occhiolino. Era giovane, non più che diciottenne, magro, basso e dai tratti orientali. I suoi spessi capelli neri gli ricadevano sugli occhi in una tenda laterale adornata da ciocche verde fluorescente che ben si abbinavano al violetto chiaro della sua pelle liscia. Un lampo di riconoscimento apparve negli occhi di Nigel, che ritirò la mano e si allontanò.

I MarchiatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora