Sedici: Succeda quel che succeda

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Evan ritornò in camera, tutto indolenzito e zoppicante. Strascicò i piedi fino al suo letto, ne urtò il materasso con le tibie e vi cadde lungo disteso sopra, sprofondando la faccia nel cuscino. Era quasi un mese che si allenava e il giovane non poteva essere più depresso di così. Ralph aveva provato ad addestrarli a lavorare in squadra, ma tutto quello che erano riusciti a ottenere i cinque ragazzi erano lividi, graffi e lavate di capo.

La missione era "relativamente semplice": sconfiggere l'insegnate, un Marchiato in grado non solo di volare, ma di rallentare il tempo. Ralph aveva dato loro alcuni minuti per organizzarsi, distribuire i ruoli a seconda delle rispettive abilità ed elaborare una strategia. All'inizio, pareva che i suoi studenti avessero fatto la scelta giusta, ma qualcosa era andato storto.

Qwerty, con la sua radio-telepatia, avrebbe dovuto coordinarli, restando a debita distanza dall'insegnante per studiarne le mosse, ma la ragazza era troppo timida e indecisa sul da farsi. Espen aveva preso la guida del gruppo, ma Nigel l'aveva ignorata ed Evan non era stato in grado di rispondere a tempo debito, mentre Steve, l'unico che aveva cercato di assecondarla, era stato immobilizzato da Ralph. L'anarchia era totale tra loro e, dopo un ultimo, disperato attacco scoordinato, Evan si era slogato una spalla. L'avevano portato in infermeria per rimettergliela a posto (l'aveva curato un "medico" Anthuryano, non la povera Mayday), ma non prima di una bella strigliata da parte del loro istruttore. Ancora gli rimbombavano le orecchie con i suoi rimproveri.

«Questo voi lo chiamate lavoro di squadra?!» aveva sbraitato l'insegnante, un'espressione corrucciata al posto di quella gioviale di sempre, «Riuscite a parlare delle cose più strane e disparate, ma non a seguire gli ordini?! Non batterete mai Hyde così. Non gli sopravviverete nemmeno!»

Il ragazzo fece una smorfia alla durezza di quelle parole. Ralph, però, aveva ragione: fin tanto che non riuscivano a seguire gli ordini di un amico, non sarebbero mai stati in grado di affrontare un nemico. Ancora si domandò come lui stesso aveva usato i suoi poteri quella notte che ormai sembrava così lontana nel tempo. Un caso fortuito, ecco come, esattamente ciò che accomunava tutti i Marchiati: alla fin fine, non c'era niente di speciale in loro. Non erano stati scelti da qualche sovrannaturale entità perché erano più puri di cuore di altri umani; erano stati solo tanto sfortunati da trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Evan soppresse un singhiozzo e spostò la faccia da un lato per esalarlo in un sospiro tremante. Si sentiva inutile, un fallimento su tutta la linea. Aveva iniziato il college, ma non lo aveva terminato. Era stato con una ragazza che lo aveva tradito. Credeva di essere il Catalizzatore, ma non poteva nemmeno usare il suo Marchio a comando. Si rannicchiò, portandosi le ginocchia al mento. Avvertì le lacrime salirgli agli occhi e li strizzò d'istinto, salvo poi rilassarli e lasciarle libere, crogiolato in un'unica certezza: nessuno avrebbe assistito a quell'attimo di debolezza.

La porta si aprì di scatto.

Evan sobbalzò, ma non si mosse. Dava le spalle all'entrata, ma non gli serviva voltarsi per vedere Steve. Ormai riconosceva il suo passo - leggero e lievemente nervoso. Imprecò contro la sua sfortuna: l'amico avrebbe chiesto spiegazioni e lui non sapeva come dargliele. Non disse nulla, mentre si raddrizzava, facendo attenzione a non appoggiarsi troppo sul braccio ancora dolorante. Pulendosi frettolosamente il viso, si girò verso Steve.

Il giovane attendeva una reazione da parte dell'amico. Poi, visto che il silenzio si protraeva troppo, chiese dolcemente: «Va tutto bene?»

Si avvicinò, assicurandosi di lasciargli il giusto spazio, «Come sta la spalla?»

«Sto bene.» lo liquidò Evan, anche se risultò poco convincente perfino a se stesso. Avrebbe potuto far passare le lacrime come reazione alla spalla slogata, ma una vocina dentro di sé gli ricordò che l'onestà era la migliore politica. Anche perché, ne era certo, sapevano entrambi che stava piangendo. Così alzò lo sguardo, incrociando per la prima volta quello di Steve, e liberò un singhiozzo strozzato. «Mi dispiace che tu debba vedermi in questo stato.» disse, asciugandosi gli occhi umidi con il braccio buono.

I MarchiatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora