Evan premette il pulsante accanto alle doppie porte del ponte di comando. La paratia si divise e scivolò nel muro. Guardingo e ansimante, il ragazzo entrò. La cabina di comando era deserta salvo che per una donna bionda, seduta a una consolle. Gli dava le spalle e non pareva essersi accorta di lui. Digitava cifre sulla tastiera come se ne dipendesse la sua vita. Evan era rimasto di sasso nel vederla e dovette trattenere un gemito di sorpresa, quando notò Antoine. Era legato a una sedia girevole, con degli elettrodi attaccati alla testa, e osservava seccato lo schermo di fronte a sé. Nessuno dei due si era accorto della sua presenza e il giovane ne approfittò.
Camminando in punta di piedi, scivolò lento e silenzioso alle spalle della donna, nascondendosi dietro la sedia del capitano. Sbirciò fuori: se Hyde e la sua banda non avessero modificato l'astronave, accanto a sé avrebbe trovato una parete. Invece, c'era un immenso macchinario che alimentava la rete neurale di cui aveva parlato il nemico. Con il cuore in gola, Evan studiò un modo per raggiungere Antoine senza essere visto. Ma, prima che potesse agire, si sentì chiamare.
«Evan!»
Era flebile, un urlo soffocato, ma riconobbe la voce, sollevata e spaventata quanto lo era lui.
«Sarah!» rispose nello stesso tono bisbigliato.
La sorella gli sorrise. Era mezzo nascosta nella sala ricavata dalla parete mancante, ma, essendosi spostata con la sedia nei suoi tentativi di liberarsi, aveva una buona visuale del ponte. I due si fissarono per diversi istanti, ansimando, felici di essersi ritrovati, finché la voce di Antoine li scosse.
«Porte-malheur!» esclamò.
Il loro silenzioso mormorio aveva attirato l'attenzione del cajun. Purtroppo, il suo tono era stato molto più alto di quello dei gemelli e aveva scosso la donna bionda dal suo lavoro.
«Identificati!» gli ordinò, anche se sembrava ancora calma e pacata. Si era girata e alzata dalla sedia e scrutava torva la poltrona del capitano.
Evan imprecò nella mente. Lento e senza movimenti bruschi, uscì dal rifugio improvvisato. Alzò le mani, benché la donna non glielo avesse chiesto, e, appena la vide bene in faccia, trasecolò. Era l'aliena che aveva registrato l'entry di Espen e che aveva visto in sogno: Scjhannhuaà, la Tobahanpriaa di Hàaljnna.
«Sono venuto a salvare i miei amici. Mi chiamo Evan.» ammise.
«Non puoi toccare niente.» lo informò lei sincera.
Il viso del giovane si intristì. «Ti prego, voglio solo liberare mia sorella.»
«Ehi, e io?! Che fai, discrimini?!» gridò Antoine indignato.
Evan si morse la lingua e rettificò: «Sì, anche Antoine.»
«Così va meglio!» sbuffò accontentato il cajun.
«Non posso lasciartelo fare.» disse lei, con il tono distaccato di chi enuncia un dato di fatto.
«Senti,» il ragazzo abbassò le mani e fece un passo verso di lei, «non so se te ne sei accorta, ma ti hanno ipnotizzata.»
L'aliena sbatté gli occhi un paio di volte. Era come se lo avesse capito, ma subito l'ipnosi si fosse risistemata, decretando una menzogna quello che le era appena stato detto. Evan si passò la lingua sulle labbra e si guardò un palmo. Gli era venuta un'idea folle e stupida, quanto lo era stato il riprendersi il Marchio con Chester. Ma ormai si era spinto troppo oltre per fermarsi a ragionare con lucidità.
«Io posso liberarti.» dichiarò. Non sapeva se era vero, ma lei non commentò. Il giovane prese fiato e alzò una mano contro di lei. La sua idea era semplice e complicata al tempo stesso: aveva pensato che, come riusciva a controllare i Marchi percependoli nel corpo dell'avversario, avrebbe potuto cercare tracce del Marchio usato su di lei per liberarla da esso. Non lo aveva mai fatto prima, ma perché non provarci?, si era detto.
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I Marchiati
Science Fiction"Esiste qualcosa di più umano di un mostro?" Evan Cunningham ha 21 anni, è alla fine del suo anno sabbatico e non sa se riprendere il college a settembre, abbandonato anche a causa di una delusione amorosa, o restare a lavorare nell'agriturismo di f...