Ventidue: Allarme rosso

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Espen e Nigel fecero capolino dietro alle doppie porte sempre aperte della sala mensa. Era mattina inoltrata, quattro giorni dopo la partenza per la missione affidata loro da Ellen, e la base sembrava intorpidita dal sonno, o dalla lentezza della giornata.

«Ah, finalmente c'è qualcuno!» borbottò il meccanico, mentre entrava nel locale con un trasportino per gatti in mano. Espen lo seguiva con calma, facendosi leggermente più tesa appena vide chi erano i due individui presenti.

Qwerty e Antoine sedevano a un tavolo a metà della sala, grandi tazze di caffè ormai finito tra loro. Quando si alzarono per andare incontro ai loro amici, Nigel posò a terra il trasportino, dal quale provenivano sporadici miagolii.

La giovane dai capelli color del fuoco pareva legnosa nei movimenti, timorosa che la tensione per quello che lei ed Espen si erano dette prima che l'altra partisse fosse ancora presente fra loro. Perciò, la Marchiata dalla pelle scura li salutò con circospezione, per testare le acque.

«Dove sono tutti?» domandò Nigel, infilando le mani nelle tasche dei jeans, «A parte la guardiola, non c'è nessuno qui dentro!»

Qwerty dette una rapida occhiata a Espen, poi smanettò sul tablet. «Avverto Luk del vostro ritorno.»

Espen sembrò volerle parlare, ma Antoine la batté sul tempo.

«Bentornati, mes amis! Come è andata? Mission accomplie, vedo.» disse, indicando il trasportino.

«Tony.» annuì Nigel e il cajun fece una mezza smorfia al diminutivo, facendogli capire che non gli piaceva, «Ti hanno chiamato per interpretare il sosia di Elton John?» scherzò, accennando all'abbigliamento stravagante dell'uomo.

Il Marchiato portava una giacca di velluto viola, sopra una camicia rossa con colletto alla coreana e i pantaloni neri di un completo elegante. Le uniche note stridenti erano le scarpe da ginnastica bianche e il cappellino da baseball sotto cui nascondeva il Marchio. Antoine sbuffò altezzoso dal naso.

«Considerando il fatto che non m'avete lasciato prendere manco un paio di mutande di scorta, ho dovuto arrangiarmi come potevo.» borbottò, poi fece gesti eclatanti con le braccia per mostrare meglio i suoi capi di vestiario, «E, questo, mon cher plouc, si chiama stile.» replicò sprezzante, «So che per te è alquanto sconosciuto, mais posso darti lezioni private, si tu veux!» gli strizzò l'occhio.

Nigel rabbrividì alle implicazioni e, con un dignitoso colpo di tosse, disse: «Passo.»

Antoine si strinse nelle spalle. «Ta perte, bébé.»

Luk scelse quel momento per entrare in mensa. Scorse il gruppetto e vi si avvicinò a passo svelto. Si fermò e dette un'occhiata perplessa al contenitore accanto ai piedi del meccanico e da cui provenivano rumori che non aveva mai sentito.

«Agenti, bentornati a casa.» li accolse, «Confido che la missione abbia avuto successo.»

Prima che i diretti interessati potessero parlare, Antoine proruppe in una fragorosa risata. «Hanno trovato molto più di quel che cercavano!» ammiccò malizioso, «Vero, Bullet? La mia profezia si è avverata!»

Il meccanico roteò gli occhi e incrociò le braccia sul petto, come a dire che non sapeva di cosa parlasse, ma il rossore sulle sue guance lo tradì. Qwerty ansimò sorpresa, cercando lo sguardo di Espen, che lo teneva, timida e caparbia, a terra. Le mandò un appunto mentale, attraverso il suo Marchio, perché non scordasse di raccontarle tutto.

«Ma certo, le mie profezie si avverano sempre. Solo non come pensate. Infatti,» continuò Antoine, puntando un dito al trasportino, «la belle femme di cui parlavo è proprio lì dentro.»

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