Ventitré: Vane ombre

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Antoine era per terra e qualcuno lo scuoteva. Si lamentò debolmente, chiedendosi come mai si era sdraiato in corridoio. Era accartocciato su se stesso, in posizione fetale, e gli faceva male la spalla che poggiava sul pavimento della nave. Dapprima non ricordò come ci fosse finito, poi gli tornò alla memoria un rumore cupo e forte, simile a quello di un grosso petardo, che lo aveva spinto al suolo un attimo dopo.

Quando scoprì che a scuoterlo con insistenza era Brosh, Antoine squittì e balzò in piedi. Recuperò il berrettino dal pavimento e se lo calcò di nuovo in testa. L'alieno biondo gli incuteva sempre timore, ma l'uomo (forse accorgendosi del disagio che gli recava) restò a debita distanza.

«Si sente bene?» s'informò, ma in fare apatico, come se fosse più una procedura che sincera preoccupazione.

«Ah, ehm... O-ui, sì certo!» farfugliò il cajun.

Brosh dette un rapido cenno con la testa, poi si voltò e fece segno ad Antoine che lo seguisse. L'ometto francese si affrettò dietro di lui.

«C-che cosa è successo?»

«È quello che dovremo capire.» lo liquidò, poi, con sua grande sorpresa, proseguì: «Dalle informazioni che ho ricevuto, pare che siamo stati attaccati.»

Antoine fu talmente scioccato che si fermò. Notò lo squarcio nella parete che sigillava il corridoio in cui stava camminando prima del botto che aveva udito. Era una voragine orrenda, da cui si stavano allontanando e che apriva nella monotonia del grigio metallo un nero inchiostro non molto più rassicurante.

«E chi?» domandò, correndo dietro all'alieno che lo aveva quasi seminato.

«Questo è ancora da appurare.» rispose, mentre lo conduceva lontano dal centro dell'esplosione e attraverso cunicoli di servizio che non sapeva esistessero.

«Dove stiamo andando?»

«Vi stiamo raggruppando nell'hangar navette.» lo informò Brosh, «Tutti i terrestri e gli Anthuryani che non necessitano di immediata assistenza medica, devono radunarsi lì.»

«Ed è sicuro?»

«È il luogo più lontano dalla breccia che è stata aperta nello scafo. E possiede un accesso verso l'esterno, in caso d'emergenza.»

Antoine deglutì. Avvertì il cuore accelerare e cercò di sfruttare l'adrenalina in eccesso per concentrarsi e percepire un possibile evento futuro (come gli avevano insegnato a fare), ma non sentì niente, perché meno di un minuto dopo i due entrarono nel tubo d'acciaio che fungeva da ascensore. La discesa fu quasi immediata e raggiunsero l'hangar in men che non si dica. Il cajun entrò cauto, ma rapido nella sala, osservandone gli abitanti. C'era Marsh, in compagnia di Mayday, che le si avvinghiava alla vita spaventata e fissava l'operato di quattro robusti alieni: portavano con non poca fatica il tubo di stasi in cui riposava Sally, mentre un quinto Anthuryano ne analizzava i parametri vitali in modo che non peggiorassero. A poca distanza seguivano i genitori della bambina, scortati da altri tecnici di laboratorio, uno dei quali portava il trasportino di Chester. Sembrava che tutta la popolazione dell'astronave fosse già stata radunata laggiù. Eppure, alcuni individui mancavano all'appello.

Antoine si mise di lato e guardò Brosh avvicinarsi a Marsh e parlare nella loro strana lingua. La donna annuì e abbaiò un paio di ordini agli addetti alla sicurezza. Gli uomini caricarono le armi e uscirono dall'hangar per esplorare il resto della nave, alla ricerca (probabilmente) di chi ancora non li aveva raggiunti.

Brosh si girò e si riavvicinò a lui. Inconsciamente, il cajun si drizzò.

«Rimanga qui.» ordinò, «Se doveste essere attaccati, fuggite attraverso quell'uscita d'emergenza e disperdetevi nel bosco. Vi ritroveremo noi a battaglia terminata.» finì, indicando la porta socchiusa (sembrava più un pannello di metallo) lungo la parete, illuminata da un neon verde.

I MarchiatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora