Ventotto: Indovina chi viene a cena

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Il furgone blu scuro, un gemello identico a quello che li aveva portati ad Augusta, percorreva la ME-27 S in direzione Eustis. La strada era deserta, anche ora che si avvicinavano al centro abitato. I due ragazzi erano silenziosi, ciascuno perso nei propri pensieri e, anche se morivano dalla voglia di parlare di ciò che era appena accaduto e di come lo avrebbero affrontato, nessuno aveva ancora avuto la forza di farlo. Per più di un'ora avevano solo guardato fuori dal finestrino. Quando Evan prese lo svincolo che portava a Springfall, Steve si scosse.

Lo aveva osservato di sottecchi per tutto il viaggio, aprendo saltuariamente la bocca per chiedergli che intenzioni avesse, ma poi richiudendola per mancanza di coraggio. Il giovane sembrava aver paura di rompere quel terso mutismo che li aveva accompagnati da quando si erano divisi dagli altri. Espen e Nigel avevano preso il furgone della scorsa missione (cui era stato sostituito il parabrezza), dicendo che sarebbero andati da Qwerty, mentre Ralph aveva spiegato le ali e se n'era andato senza un saluto.

«A-allora.» iniziò timido Steve, «Dove andiamo?»

«A casa.» gli rispose il suo ragazzo.

Il giovane abbassò e rialzò il capo in un gesto affermativo, netto come il taglio di una ghigliottina. Arricciò le labbra, avvicinandole al naso in un'espressione perplessa e riprovò. «D'accordo. E poi?»

«E poi ce ne andiamo.» un'altra risposta secca e poco esaustiva.

Steve era a corto di idee. Avrebbe voluto ripetere la domanda, ma gli sembrava ormai pleonastico. Per fortuna, fu Evan a spiegarsi.

«Scusami, Steve,» sospirò, poggiando la mano sul ginocchio del ragazzo vicino a lui, «è che sono successe tante di quelle cose in così poco tempo che io...» non terminò. Gli mancavano le parole. Non lo aveva nemmeno guardato in faccia, mentre si confessava, ma Steve fu comprensivo nei suoi confronti.

«Tranquillo, Evan, lo capisco. So come ti senti.» disse e non era una frase di circostanza. Posò la mano su quella del suo ragazzo e la accarezzò per incoraggiarlo.

«Io non so cosa fare.» ammise l'altro, «Vorrei che tutto quello che abbiamo vissuto fino ad ora fosse solo un incubo!» affermò, poi si corresse (e stavolta lo guardò negli occhi): «Tranne l'aver incontrato te, ovvio.»

Steve gli offrì un blando sorriso e si portò la mano di lui alle labbra.

«Troveremo un modo, vedrai.» promise, lambendogli le dita in un bacio, «Siamo Tobahanpriaa, no?»

Evan abbozzò un sogghigno, poi i due ripiombarono nel silenzio. Fu Steve a riprendere la parola.

«Sono molto preoccupato per Sarah.» confessò, «Insomma, ora che abbiamo scoperto che è lei il Catalizzatore, è lei il bersaglio di Hyde.»

«Non dirlo nemmeno per scherzo.»

«Non voglio scherzare. Secondo te potrei?!» lo rimbeccò il giovane dagli occhi blu, «Voglio metterti in guardia. Io detesto gli Anthuryani quanto te, ma non possiamo mollare tutto e sparire. Dove andremo? Siamo soli ormai. Se Hyde decide di attaccarci-»

«Non lo farà.»

Steve sbuffò una risatina incredula. «Come lo sai, hai controllato il suo stato su Facebook?»

Evan fece per replicare, ma non gli uscì niente. Un'espressione colpevole si dipinse sul suo viso, una smorfia che all'altro ragazzo non piacque affatto. Il giovane inclinò la testa, come se volesse guardare meglio il suo compagno.

«Evan?» disse cauto, lasciandogli andare la mano. Ripeté il suo nome ancora un paio di volte, prima che Evan sbottasse.

«Mi ha detto di contattarlo!»

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