Undici: Base dolce casa

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Il giorno dopo, Evan decise di svegliarsi definitivamente. Voltò la testa da un lato, cercando l'ora sulla sveglia, ma non la trovò. Si rese conto di non essere nella sua stanza. Il sole non brillava attraverso la finestra. L'unica illuminazione era fornita da una specie di neon sopra di lui. Il letto a una piazza era molto comodo, ma non era il suo. Evan cominciò ad agitarsi. Spostò lo sguardo attorno a sé, facendolo rimbalzare sui muri di acciaio freddo e impaurendosi sempre di più, finché non vide Steve.

«Ehi! Sei sveglio, finalmente!» esclamò il ragazzo. La sua voce era allegra, ma il viso raccontava un'altra storia. I capelli puliti erano scarmigliati e sfoggiava due profonde occhiaie scure sotto gli occhi brillanti.

«Steve.» gracchiò Evan, accorgendosi così di quanto era secca la sua gola.

Steve si alzò dalla poltrona e raggiunse il comodino. C'erano una bottiglietta d'acqua e un bicchiere. Con calma, il ragazzo svitò il tappo e versò il liquido nel bicchiere, prima di offrirlo a Evan. Il giovane lo svuotò in mezzo secondo. Steve sorrise, versandogliene ancora. Evan bevve di nuovo, ma si fermò a metà. Si leccò le labbra ora idratate e si guardò attorno.

«Dove siamo? Che è successo?»

«Quanto ricordi?» chiese cauto l'amico, mentre posava la bottiglia e risprofondava nella poltrona.

Evan fece un colorito riassunto di ciò che rammentava, omettendo soltanto l'incubo.

«Ricordo soprattutto le esplosioni. Ho la testa che mi rimbomba ancora.» strizzò gli occhi, come se gli servisse a ricordare meglio, «E c'erano altre persone. M-marchiati, credo-» ansimò, facendo per alzarsi, «E Sarah?! E la mia famiglia?! Dove sono? Stanno bene? Devo vederli!»

Appena si drizzò, scivolò sulle braccia tremanti. Steve si lanciò in avanti, afferrandolo prima che cadesse dal letto.

«Cerca di calmarti.» gli disse, provando a farlo stendere.

Evan protestò, continuando a dimenarsi e a bersagliare Steve di domande sulla sua famiglia, agitato e scosso.

Fu soltanto quando Steve liberò un urgente e disperato: «Per favore, Evan, calmati! Stanno tutti bene!», che il giovane smise di muoversi concitato.

Evan rimase per qualche istante fermo a fissare l'altro, dando a quest'ultimo il tempo di sistemargli meglio i cuscini dietro la schiena.

«Ho visto che li aiutavano a tornare a casa.» riprese Steve, rilassandosi sulla sedia, «Mi spiace che tu non sia potuto andare con loro, ma le tue condizioni erano gravi e ti abbiamo dovuto portare qui.»

«Gravi condizioni?» ripeté Evan. Chinò il capo e si studiò le dita che aveva in grembo. Si immaginava di non essere al top della forma, visto che aveva male dalle unghie dei piedi alla punta dei capelli, però non pensava che fosse così grave da non poter essere riportato a casa.

«Sei rimasto ad altalenare tra il sonno e la veglia per quattro giorni.»

«Quattro giorni?!» echeggiò il ragazzo, la voce stridula e acuta.

Steve annuì, imperturbato dal tono agitato dell'amico: «Dopo che hai costretto Nigel a sparare ai droni, sei svenuto e non ci hai lasciato altra scelta che portarti alla base.»

«E quegli altri Marchiati?»

«Quando hai bloccato i Marchi di tutti quelli che ti stavano attorno, la banda di Hyde è telata.»

Evan mosse la testa su e giù, ma non seguiva molto il discorso.

«Hai detto "base"?» riprese dopo un po'.

Steve si sporse sulla poltrona, poggiando i gomiti sulle ginocchia e giocherellando nervoso con le dita. Non sapeva bene come intavolare il discorso. «Evan, ti ricordi che ti ho parlato di quel gruppo di Marchiati che aiuta gli altri?»

I MarchiatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora