Tredici: Scritte sulla pelle

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Si erano spostati in una stanza molto affollata, forse un laboratorio. C'erano altri Anthuryani, indaffarati dietro a monitor e macchinari che Evan non riuscì a identificare e, come gli avevano predetto, nessuno di loro li degnò di uno sguardo. Avevano interrotto il loro parlottare gutturale e basso solo per dare un cenno di saluto a Luk, il loro comandante, ed erano tornati a occuparsi delle proprie faccende senza batter ciglio.

Il gruppetto, invece, aveva proseguito tra le varie postazioni e tavoli coperti di provette con strani liquidi e si erano fermati nell'angolo più lontano dalla porta d'ingresso. Sulla parete era proiettata una mappa dell'America settentrionale e del Canada, costellata da puntini rossi, che probabilmente fungevano da geolocalizzazione di qualcosa o qualcuno. Lunghi tubi scanalati scendevano dal soffitto, convogliando dentro un cilindro trasparente e pieno di un liquido azzurrognolo che sembrava acqua di piscina. In effetti, ricordava un acquario verticale. Altri macchinari che emanavano un lieve ronzio erano attaccati al corpo principale, alto quasi due metri e largo almeno uno. Evan osservava affascinato e stranito quella tecnologia aliena senza ben comprendere a cosa servisse, finché non si rese conto che ciò che aveva scambiato per un acquario conteneva effettivamente una persona.

Era una ragazzina, che dimostrava dodici anni appena. La pelle chiara, nascosta da indumenti solo nella zona del pube e dei piccoli seni acerbi, era ricoperta quasi integralmente da scritte. Quando Evan fece un involontario passo avanti, notò che gli scarabocchi neri erano nomi e cognomi e che alcuni di essi erano sbarrati.

«Lei è Sally Gordon.» la presentò Ralph, facendo sobbalzare Evan, che non si aspettava parlasse. «È entrata in coma quando ha ricevuto il suo Marchio, presumiamo all'incirca dodici anni fa. La teniamo in ibernazione sospesa in questa vasca, per evitarle le spiacevoli conseguenze del coma.» lo informò, accennando ai diversi tubicini di flebo che uscivano dalle braccia della giovane.

«Come un coma farmacologico?» azzardò il ragazzo.

«Esatto, ma molto più evoluto.» confermò l'altro, «Mayday viene qui ogni tanto a leggerle qualcosa, ora che Marsh glielo ha insegnato. Ad oggi, non siamo ancora riusciti a svegliarla, ma chissà?»

«Perché mi dite il suo nome?» chiese Evan, «Credevo che vi deste soprannomi fra voi.»

«Anche sapendolo, che puoi farle?» lo sfidò Espen, anticipando Ralph, «È attorniata non solo dai suoi genitori, ma anche da guardie Anthuryane e quel tubo è fatto di un polimero alieno ultraresistente: non lo taglieresti manco con una torcia al plasma!» sospirò e abbassò lo sguardo, «E poi, chi vorrebbe il suo Marchio? Non è sempre così, ma capita a volte che i Marchi meno potenti o più problematici non siano abbastanza forti da richiamare altri Marchiati o esseri umani, perciò sia Sally, che Mayday se per questo, sono relativamente al sicuro.»

Evan assorbì le informazioni e le loro implicazioni. Poco dopo, in una voce traballante e timida, chiese: «Il Marchio di Sally sarebbero tutti quei nomi scritti sulla pelle?»

«In realtà, sono propenso a credere che il suo Marchio sia l'essere entrata in coma.» specificò Ralph con un lieve fremito delle ali, «La capacità di Sally è quella di indicarci i nomi di tutte le persone che hanno ricevuto un frammento della Chiave e, almeno all'incirca, in quanti pezzi quest'ultima si è scissa. Noterai anche che alcuni sono barrati.»

Evan asserì con la testa. Ralph lo incitò a osservare la pelle della ragazzina attraverso una lente posta accanto alla vasca. La puntò verso la sua mano dove c'erano due nomi scribacchiati in una calligrafia incerta, ma leggibile: Josie Roody era scritto sopra a Virginia Roody e quest'ultimo era sbarrato.

«Chi sono?»

«Josie è la ragazza che ti abbiamo presentato come Mayday. Virginia era sua madre.» disse ed Evan capì.

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