14. Azzurro ciano

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Prima di esprimere il desiderio, Simone attese che gli esercizi con il pallone cominciassero.

Voleva assistere in diretta al momento in cui la magia faceva effetto, voleva essere certo che fosse merito della magia, certo di avere, poi, un ultimo desiderio, che avrebbe sfruttato per il meglio. Per se stesso.

Non devo recriminare sui due desideri persi. Ne ho ancora uno. Un desiderio con cui posso fare ciò che voglio. È più di quanto abbia chiunque altro.

Edoardo posò i tacchetti su un pallone. Era di nuovo teso, ora, in modo evidente. Era svanito il sorriso allegro che aveva regalato a Simone durante lo scherzo a Manuel. Simone si sentì un po' crudele: avrebbe potuto risparmiargli quei cinque minuti di vergogna. Ma in fondo stava per liberarlo da quel peso, e aveva disperatamente bisogno di quei cinque minuti. Per essere sicuro.

Furono cinque minuti penosi, in cui Edoardo sbagliò tutti i tiri che provò e cadde persino a terra due volte nel tentativo di recuperare il pallone. 

Dopo il quarto liscio consecutivo Edoardo tirò un calcio di frustrazione a una zolla d'erba, facendola volare via.

«Eh, bravo. Mo' fai la stessa cosa con la palla» gli disse Manuel.

«Non ci riesco! Non ci riesco più!» ribatté Edoardo prendendosi la testa tra le mani.

Era il momento. Simone si allontanò dal campo, fingendo di avere sete. Prese una borraccia con la mano destra, diede una sorsata, intanto con la sinistra strinse il cellulare in tasca.

«Pampulu pimpulu parimpampù» pronunciò sottovoce. Nessuno era nei paraggi, nessuno lo poteva sentire mentre diceva quella frase ridicola. 

Diede un'occhiata allo schermo per controllare che si fosse acceso e notò che il colore era diverso. Non più magenta, ma un azzurro ciano, simile al colore di un cielo estivo terso, solo più intenso e brillante. Nascose il cellulare in tasca, tenendolo sempre ben stretto in mano, e spostò gli occhi su Edoardo, che stava scuotendo la testa guardando l'erba sotto i suoi piedi.

Simone prese un respiro e parlò. Sottovoce ma scandendo chiaramente le parole, che aveva ripassato mentalmente almeno un centinaio di volte: «Voglio che le abilità calcistiche di Edoardo tornino al livello a cui si trovavano prima che esprimessi il primo desiderio.»

Gli parve di avvertire un leggero calore, nella mano, che durò solo pochi istanti, e il cuore gli fece una capriola nel petto. Era terrorizzato dal pensiero di aver sbagliato di nuovo qualcosa.

Ci aveva pensato così bene. E aveva scelto quella formulazione un po' lunga e complessa, ma gli sembrava inequivocabile. Adesso doveva solo aspettare.

«Mai vista una roba simile! Ma ti sei preso una storta? Ti fa male qualcosa?» disse Valerio, stupito dal livello di impedimento fisico dimostrato da Edoardo.

«Ma no, sto benissimo...» gli rispose lui. «È meglio che torno in stanza, dai.»

Merda. Non può andarsene proprio ora!

«Ma no! Se non hai fastidi fisici rimani qui e continua ad allenarti. Ricomincia dalle cose facili, è ovvio che sei andato un attimo in confusione, non c'è altra spiegazione.»

«Ma stavo già facendo cose facili! Passaggio e stop, esiste qualcosa di più facile? È tipo la prima cosa che insegni ai pulcini!»

Valerio incrociò le braccia e storse la bocca, pensoso. Simone, intanto, si riavvicinò ai compagni in campo.

Ho aspettato troppo. Avrei dovuto esprimerlo prima, il desiderio. Adesso Edoardo se ne va e potrebbe decidere di non tornare più.

Decise che ci voleva un trattamento shock.

L'ultimo desiderio - Manuel & SimoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora