28. Il segreto di Manuel

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Nella top 5 dei capitoli più belli, buona lettura!

Simone tornò al villaggio nel tardo pomeriggio e trovò i compagni già rientrati dalla seconda seduta di allenamento, docciati e cambiati per la serata.

«Ohi Simo! Come va lo stomaco?»
«Hai vomitato ancora?»

Simone non rispose.

Aveva di nuovo fame. Aveva trascorso mezza giornata a vagabondare in giro, senza meta, senza scopo, con soltanto due tramezzini e una Coca Cola in pancia.

Si era inoltrato nel bosco, senza preoccuparsi di seguire un sentiero, un percorso. Voleva nascondersi dal mondo e dai suoi problemi. Aveva sperato sinceramente di perdersi, di cadere in qualche tana nascosta dal fogliame, di essere divorato da qualche lupo o orso. Ma frocio come sono al massimo vengo attaccato da un fagiano, aveva pensato.

Aveva riflettuto. Molto. Su Edoardo e sul desiderio.

Dopo ore di elucubrazioni, paranoie e paturnie aveva finito per attaccarsi ad una debole speranza, ricordando le regole che gli aveva recitato la fattucchiera.

Non puoi uccidere.
Non puoi redivivere.
Non puoi innamorare.

Far diventare qualcuno gay, aveva ragionato, forse rientra nell'ambito dei sentimenti, dell'amore.

Simone sperava ardentemente che fosse così.

Quanto al fatto che il cellulare avesse smesso di funzionare, inizialmente pensava fosse semplicemente perché il desiderio era stato esaudito. Ora, invece, Simone sperava fosse una sorta di punizione per aver cercato di forzare le regole: aveva espresso un desiderio vietato e quello era stato cancellato.

Aveva deciso di aggrapparsi con tutte le sue forze a questa teoria, voleva evitare di impazzire per il rimorso. E se questo significava essersi bruciato in modo stupido anche l'ultimo desiderio, be', pazienza. Anche se era l'ultimo. L'unico che avrebbe potuto usare per se stesso.

Rientrò al villaggio con il buon proposito di non piangere più, di non commiserarsi, di reagire in qualche modo.

Io non sono uno che si piange addosso.
Non sono così. Non lo sono mai stato.

Aprì la porta della Genziana.

Non fece neanche in tempo ad accorgersi della presenza di Manuel, seduto al tavolo in fondo alla stanza, che lo vide avvicinarsi con la rapidità e la furia di un toro davanti a un drappo rosso. Il ragazzo sollevò una mano, aperta e tesa, Simone si accucciò per schivare il ceffone in arrivo, ma Manuel si fermò con la mano a mezz'aria.

«Ma che cazzo c'hai nella capoccia?» disse con la mano ancora in aria, adesso puntata verso la sua tempia.

«Che ho fatto?»

«'Ndo cazzo sei stato fino adesso?! E a pranzo dov'eri? Sei sparito nel nulla sapendo che Valerio sarebbe venuto a vedere come stavi.» Picchiettò con un dito sulla testa di Simone. «Ma ce l'hai un cervello qui dentro o ce stanno solo i pupazzetti che ballano? E ovviamente hai pure spento il cellulare, da brava drama queen quale sei.» 

Simone chiuse gli occhi e chinò la testa. Questa volta Manuel aveva ragione. Aveva agito da vero egocentrico, senza pensare alle conseguenze.

«Valerio ha detto qualcosa?» chiese grattandosi la nuca.

«No, ho avuto la prontezza di inventarmi la palla che stavi a morì de coliche sulla tazza del cesso, e per tua fortuna la descrizione l'ha disgustato abbastanza da non venì a controllà de persona.»

Manuel puntò le mani ai fianchi e squadrò rapidamente Simone dalla testa ai piedi. Gli indicò il petto. «Chi t'ha sborrato sulla maglietta?»

Simone arrossì e si guardò per capire di cosa stesse parlando Manuel. «No, è una macchia di dentifricio» disse. Poi prese dalla tasca il telefono rotto e lo mostrò a Manuel. «E comunque il cellulare non l'ho spento, l'ho distrutto.»

L'ultimo desiderio - Manuel & SimoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora