43. Di sassi e di hamburger

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I prossimi capitoli sono in assoluto i miei preferiti, quelli per cui vale la pena aspettare così tanto. Godeteveli.

Il bar del paese era specializzato in prodotti disgustosi: dopo i cornetti di cartone e i tramezzini ciabatta, il panino di gommapiuma. Era una delle cose più vomitevoli che Simone avesse mai mangiato in vita sua. Due cuscinetti gommosi con un pezzo di cuoio in mezzo.

Ma era contento che facesse schifo. Depresso com'era non si sarebbe goduto una cena succulenta e saporita. Quel cibo indigesto era il giusto condimento di una giornata di merda.

Dopo aver salutato Anna e Andrea, Simone non aveva incontrato più nessuno.

Aveva mangiato molto presto, mentre gli altri ancora si divertivano in compagnia al villaggio, ed era andato a lavarsi mentre gli altri erano tutti insieme a cena in sala mensa.
Quando era tornato in camera, alla Genziana, per l'ultima notte, stava ricominciando a piovere. Erano da poco passate le otto. La casupola era vuota, ovviamente. Manuel sarebbe tornato dopo cena, per recuperare le sue cose e andare a lavarsi. Simone sperava di essersi già addormentato, di non doverci parlare.

Faceva freddo, maledettamente freddo. Tornando in camera dai bagni si era infradiciato i capelli di pioggia. Una passata di asciugacapelli non era stata sufficiente a togliergli il gelo dalle ossa.

Privo di sonno e col panino di gomma sullo stomaco, si era infilato la sua tuta più pesante, si era chiuso nel sacco a pelo e messo a leggere, i gomiti puntati sul materasso.
Simone litigò con le lettere del libro per circa mezz'ora: i pensieri su tutto ciò che era successo gli turbinavano in testa e gli impedivano di concentrarsi su alcunché.

Era stremato, non ne poteva più di pensarci, ma il suo cervello continuava a tornare lì. Ad Edoardo. Ai desideri. A come si erano rovinati la vita a vicenda. Dopo aver passato le ultime ore a detestare Edoardo, adesso si faceva di nuovo sentire il senso di colpa per averlo fatto diventare gay.
Dopo circa mezz'ora di non-lettura e pensieri tormentati, la luce saltò.
Fuori era già buio e Simone si ritrovò immerso nell'oscurità.

Raffiche di pioggia battevano con violenza contro il tetto e sul vetro della finestra. Un tuono molto forte lo fece rizzare seduto sul letto.
Prese un lento respiro. Spinse l'interruttore un paio di volte e, assicuratosi che la luce fosse davvero saltata, lo portò in posizione spenta, per evitare di spaventarsi quando si sarebbe riacceso, magari nel cuore della notte.

Avrebbe potuto usare il cellulare per illuminare le pagine e continuare la lettura. Se solo avesse avuto un cellulare funzionante.

E adesso che faccio?

Il suo cervello era talmente sotto stress che entrò in una sorta di catatonia confusa: pensieri frenetici, rancore e senso di colpa lo immobilizzarono in posizione seduta per un tempo indefinito.

Finché non sentì la chiave girare nella porta.

Manuel entrò senza dire nulla, tossì. Simone vide la sua ombra scrollarsi la pioggia di dosso, chinarsi ai piedi del letto, dove si trovavano i borsoni. Fu in quel momento che si accorse finalmente di Simone.

«Ah!» urlò. Poi fece un sospiro teatrale. «Cristo... sei tu? Ma che cazzo ce fai seduto ar buio sur letto? Dì quarcosa, no? Buonasera, bentornato, vaffanculo... qualcosa!»

«Scusa, non volevo spaventarti» rispose apatico Simone.

«Da quant'è che stai seduto lì come uno psicopatico?»

«Mmm...» rifletté Simone, «tipo... dieci minuti? Da quando è saltata la luce.» Fece una pausa di qualche secondo. «Stavo leggendo.»

Manuel armeggiò nel borsone sotto al letto, tirò fuori il suo beautycase e qualcos'altro che lanciò sul letto di Simone. «Tiè» disse. «Continua a leggere, se vuoi. Io vado a lavarmi i denti.»

L'ultimo desiderio - Manuel & SimoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora