20. Orizzonti di gloria

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Se fosse stato un film, la scena sarebbe stata montata a rallentatore.

Visi distorti da espressioni di esultanza, dettagli di bocche che si spalancano, braccia che si allargano, piedi che calpestano l'erba e le foglie, che spezzano i rami sparsi sul tappeto boscoso. Dettagli sulle magliette che si sollevano nella corsa, stoffa stretta tra le mani, ciuffi di capelli che rimbalzano sulla testa, scintille di sudore nella luce gialla che filtra tra i rami.

Ma era la realtà, e Simone, per qualche minuto, non riuscì a capire nulla. C'era solo un'enorme confusione, intorno a lui, una confusione di corpi che gli si calcavano addosso, quasi soffocandolo, voci di ragazzi e di ragazze che urlavano il suo nome, visi, braccia, mani, gambe, petti, fianchi. Lampi di sguardi, squarci di cielo, alberi e sole. La prima percezione chiara, che emerse dalla confusione, fu il viso di Edoardo, felice, sorridente, diceva qualcosa, le labbra si muovevano ma Simone non riusciva a sentirlo.

Mi hai visto, Edoardo? Hai visto l'impresa?

Simone voleva piangere. Piangere dalla felicità. Il fazzoletto. L'ultimo trofeo era ancora nella sua mano. Lo sollevò in cielo e urlò di gioia.

Poi vide gli altri. C'era Karen, c'erano Giulia Uno, Gennaro, Manuel, tutti i membri della squadra rossa, gli ultimi rimasti in gioco avevano ancora la bandana legata in fronte. Beta Stefano, persino quel bullo troglodita di Stefano stava acclamando Simone.

Karen e Edoardo erano vicini, si abbracciarono nell'esultanza.

Ma prima ancora che la visione gettasse un'ombra di tristezza su quel momento magico, qualcosa fece voltare Simone. Qualcuno. Manuel, che si avvicinò al suo orecchio. «Goditela finché dura. Goditela, perché tra qualche minuto sarà tutto finito.»
Ma aveva un sorrisetto in volto che per qualche secondo gli generò dei brividi lungo la spina dorsale.

Poi, con un'espressione di puro trionfo in volto, agitò i pugni in cielo e lanciò un grido: «Dajeeeee!» Simone decise di lasciarsi trascinare dall'entusiasmo e gridò insieme a lui. Fu un grido folle, un grido contro tutto quello che aveva dovuto sopportare fino a quel giorno, un grido per vendicare tutte le sciocchezze che aveva fatto: i desideri sprecati, il suo amore mal riposto, le turbe psicologiche.

«Ho un problema nella testa, funziona a metà! Ogni tanto parte un suono che fa...» gridò Andrea.

«Bom bom bom» risposero tutti in coro, imitando i suoni del tormentone dell'estate.

Odio questa canzone, pensò Simone. Ma la cantò anche lui, e si stupì di ricordarne le parole. In quel momento gli sembrò Il miglior pezzo che avesse mai ascoltato.

Tutti applaudivano, tutti cantavano, mentre iniziavano a procedere verso il villaggio, alle baite, da vincitori. Cantavano anche Karen ed Edoardo. No, Simone non voleva sapere dov'erano, cosa stavano facendo, cosa stavano cantando, quanto profondamente e appassionatamente si stavano baciando, si piazzò in cima al corteo, insieme a Manuel e Andrea. Voleva pensare solo alla vittoria, solo all'esultanza, e cantare quella canzone coatta che aveva detestato ogni singola volta in cui era apparsa sulla sua bacheca Facebook, quell'estate.

«Col trattore in tangenziale, andiamo a comandare!»

«Ho un problema nella testa, funziona a metà! Ogni tanto parte un suono che fa:...»

«Batti le ali, muovi le antenne, dammi le tue...» Karen si intromise con quella ridicola canzoncina scout facendo levare un coro di nooo e di risate. Anche Simone rise. Rise, anche se sapeva che Edoardo probabilmente la stava ammirando con aria assolutamente deliziata. Lo sapeva, non gli serviva guardarli, lo sapeva. Tirò un calcio a un sasso, il sasso colpì un ramo e lo staccò.

L'ultimo desiderio - Manuel & SimoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora