37. Qualcosa di buono

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Simone entrò in cucina. Avrebbe voluto chiudersi in una bolla insonorizzata, abbracciarsi le ginocchia e non uscirne più. Guardò con indolenza i ripiani sporchi e disordinati, ripensando a ciò che era appena successo. A ciò che gli aveva detto Manuel.

Stava sulle palle a tutti. Su questo punto Manuel aveva indubbiamente ragione. Non aveva amici. Aveva sempre saputo di non averne, e non aveva mai voluto farsene, almeno non tra i suoi compagni di spogliatoio. Ma quel pensiero, adesso, lo faceva stare inspiegabilmente male.

Non aveva voglia di piangere, però. Era un dolore asciutto, apatico.

Si diresse al lavello per prendere uno strofinaccio. Il lavoro manuale forse l'avrebbe distratto.

«Simone...» La voce di Karen risuonò inattesa alle sue spalle.

«Voglio stare solo» Simone aprì il rubinetto. Sentì i passi della ragazza avvicinarsi a lui.

«Edoardo c'entra qualcosa, vero? Lo stai coprendo?»

Simone si voltò a guardarla. Sbatté le palpebre un paio di volte.

Edoardo, sempre Edoardo.
Non voglio pensare a lui ora.
Non voglio pensare a quello che gli ho fatto.

«Non capisco di cosa stai parlando» mentì.

«Aveva bevuto anche lui, la sera in cui ci siamo baciati. Lo so. L'ho capito. Non ne ero sicura... La gomma, il dentifricio... Ma adesso l'ho capito. E sono quasi sicura che avesse bevuto anche il giorno dopo: l'ho visto strano, ieri mattina. E oggi? Riconosco una faccia da sbornia.»

«Sono stato io. Finiscila. Li ho rubati io. Ora, se non ti dispiace, dovrei pulire.»

«Se assomigli ancora a quel bambino che conoscevo, non ti credo. Sì, avevi bevuto la prima sera, ma non sei un ubriacone. E non sei un ladro.»

Simone schioccò la lingua. «Ma che cazzo ne sai, tu? Credi di conoscermi perché tiravamo insieme quattro calci ad una palla quando eravamo piccoli?»

«Un po' sì. Un po' credo di conoscerti.»

«Lasciami in pace.»

«Perché l'hai fatto?» Karen pronunciò questa frase in un sussurro. «So che sei un ragazzo buono, ma questo... questo sacrificio va oltre...»

Simone non rispose, si finse impegnato, ma si rese conto che stava sciacquando e strizzando lo strofinaccio sotto il rubinetto per la terza volta, senza ancora aver pulito niente. La fasciatura che aveva sulla mano sinistra, la fasciatura che gli aveva fatto Manuel si era inzuppata d'acqua. Simone la sciolse con gesti rabbiosi, la gettò a terra, la calpestò.

Ti odio Manuel.

«Sei– sei innamorato di lui?»

Per un attimo, Simone pensò che Karen si stesse riferendo a Manuel, perché era a lui che stava pensando, in quel momento, e quella frase di Karen lo spaventò, gli strinse lo stomaco. Ma gli ci vollero solo pochi istanti per capire che stava parlando di Edoardo.

«Ancora questa storia? Non sono gay.» Simone alzò gli occhi al cielo, cercò di fingersi divertito. «E l'altro giorno eri convinta che mi piacesse Manuel.» Strinse i denti. «Quel bullo di merda...»

«Forse ti piacciono entrambi» disse lei.

«Questa conversazione finisce adesso.»

«Be', se vuoi un consiglio, tra Edoardo e Manuel...»

«Non lo voglio!»

«...concentrati sul secondo. Perché il primo è uno stronzo, e non ti merita.»

«Concentrati sul secondo?!» Simone si accorse di aver gridato. Prese un respiro per calmarsi e abbassò la voce a un volume normale. «Ma hai sentito cosa mi ha detto? Hai visto come mi ha trattato?» Sbatté lo strofinaccio bagnato sul ripiano e schizzò acqua tutto intorno. Karen si asciugò una gocciolina dal braccio e accennò un sorriso.

L'ultimo desiderio - Manuel & SimoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora