4. Sword and sorcery di serie Z

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Simone dimenticò all'istante il dolore della caduta.

L'ho uccisa!

Le gambe molli per lo spavento, si lanciò sul corpo immobile della donna.

«Signora!» gridò con la voce rotta dal terrore.

Non aveva emesso nemmeno un sussulto quando le era finito addosso a tutta velocità con la bici. Com'era possibile? L'aveva ammazzata sul colpo?

Giunto accanto a lei, Simone non seppe cosa fare. La osservò per qualche istante: il volto era quello di una donna ancora giovane, ma i capelli erano candidi come la neve, e ricadevano intorno al suo viso in ciocche stoppacciose. Era magra, quasi deperita, e vestita in modo zingaresco, con una lunga gonna arancione, uno scialle drappeggiato a coprirle il busto e numerosi bracciali di metallo scintillante.

Il ragazzo cercò disperatamente di ricordare la lezione di primo soccorso che l'anno prima un medico svogliato della ASL aveva impartito a tutta la squadra. Facendosi strada tra i bracciali, prese il polso della donna per saggiarne il battito. Non riusciva a sentire alcunché e per giunta lo sferragliare dei bracciali gli confondeva la percezione. Spostò le dita su e giù lungo il polso, alla disperata ricerca di un segnale di vita, ma tremore e sudore rendevano il compito più difficile.

Ma quando ormai sembrava non ci fosse più niente da fare, la donna emise un debole gemito e girò leggermente la testa. Simone si sentì quasi svenire dal sollievo.

«Non si muova!» le ordinò, ricordando che l'ultima cosa da fare dopo una botta pericolosa alla schiena o al collo era muovere la testa dell'infortunato.

Ma la donna non lo ascoltò e continuò a ruotare il collo per guardarsi intorno.

Be', forse il fatto che riesca a ruotarlo con tanta disinvoltura è un buon segno.

«Un messo del destino mi ha catturato nelle sue trame...» disse la donna con un filo di voce.

«Prego?» Simone non era sicuro di aver sentito bene. Si grattò la testa, indeciso sul da farsi. «Meglio chiamare un'ambulanza.» Estrasse il cellulare dalla tasca, ma quando vide lo schermo spento si ricordò che era fuori uso per annegamento in tazza del WC.

«No, non lo fare» gli ordinò la donna, tirandosi su a sedere. «Non mi fido di quei macellai che vi ostinate a chiamare medici.»

Simone posò il cellulare rotto a terra e mise una mano sulla spalla della donna, per rassicurarla. «Signora, potrebbe avere una commozione cerebrale, è meglio se...»

«Decotto di papavero in cui sono state fatte macerare radici di mandragora per ventiquattro lune al fiorir di primavera. Dovrei averne quattro once da parte in laboratorio.»

«Radici di mand... ok.» Simone si strinse con le dita la radice del naso, per riorganizzare i pensieri. «Questi sono evidentissimi sintomi di una commozione cerebrale. Vado al bar a cercare un telefono e chiamo il 118.»

«No!» gridò la donna trattenendolo per la maglietta. Solo in quel momento Simone prese coscienza del fatto che aveva ancora indosso la divisa da calcio e gli scarpini coi tacchetti, e si accorse che la caduta aveva creato un brutto strappo sulla manica. Ottimo. Aveva rovinato la divisa.

E mo' chi lo sente, a Valerio?

Cercò di non pensare alla divisa rovinata e spostò di nuovo la sua attenzione sulla donna: sembrava in serio stato confusionale. Poteva rischiare di lasciarla da sola? Forse era meglio rimanere ancora qualche istante con lei.

«Io lo vedo. Lo vedo...» L'espressione sul volto della donna si fece malinconica. «C'è qualcosa che ti turba, dentro quella locanda, non ci andare. Soffriresti.»

L'ultimo desiderio - Manuel & SimoneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora