Quando entrai nella sala Democrito, in barba alla mia previsione, la bagarre non era per niente terminata. Sembrava Montecitorio, tutti parlavano, altri urlavano; pur essendo solo una ventina sembravano cento. Pochi erano seduti. Zitti sull'attenti erano solo alcuni personaggi con le spalle al muro, ed erano in divisa.
Ciascuno, io compreso, indossava mascherine protettive.
Presi posto vicino a John, a una delle sedie del lungo tavolo ovale in legno di Juglans regia o noce bianco, quello che noi italiani chiamiamo, con fare egocentrico, noce nazionale.
Chi notò la mia presenza si zittì e prese posto sulla sua sedia. In breve, lo fecero tutti e calò il silenzio.
Fu allora che Vittorio Santovito Vichi prese la parola, quasi fosse l'artefice di quella prodigiosa pace.
Era l'unico rimasto in piedi. L'addome prominente era mal celato dall'ampio doppiopetto in gessato che, nonostante fosse impeccabile, dava l'impressione di esplodere.
La testa rotonda e pelata era imperlata di goccioline di sudore che cercava di asciugare con un fazzoletto firmato, sudore che non era dovuto al fatto di indossare una FFP2. Il gesto con la mano mise in risalto un grosso anello d'oro giallo lavorato.
Vittorio Santovito Vichi era il responsabile del centro, ma il suo incarico era soprattutto politico e burocratico, in altri termini non seguiva aspetti operativi. Era uno dei tanti capi centro che si erano susseguiti, inviati dal governo di turno, a ogni rimpasto o elezione. Cariche sempre condizionate da fattori imprescindibili, misteriosi e opinabili.
I nostri sguardi si incrociarono, non credo volesse il mio consenso per prendere la parola, credo invece volesse sottolineare che era lui il capo.
Ricambiai lo sguardo, ma lo feci con quella sfrontatezza che forse gli ricordò il giorno in cui lo sorpresi a scopare con la sua segretaria nel suo ufficio.
Si trovava al centro da poco e il poveretto non sapeva ancora che avevo il brutto vizio di non bussare alle porte prima di entrare, nemmeno alla sua.
Da allora un energumeno in divisa presidia l'ingresso dello studio.
Al suo fianco, immancabile, sedeva Elga Ansaldi. Ora, chiamarla segretaria non le farebbe giustizia.
Santovito Vichi si fece coraggio, "Signori, grazie per l'attenzione."
Mettendo inutilmente la mano sulla bocca, coperta dalla mascherina, diede un nuovo colpetto di tosse, per darsi un contegno.
"Il momento è drammatico. Stavamo seguendo gli andamenti in Cina e in poco tempo ci troviamo in una situazione ben peggiore."
Guardò gli altri, quasi aspettandosi smentite di ciò che stava dicendo.
"La direttiva del Governo, lo sapremo ufficialmente tra poche ore, coadiuvato da tutti gli organi competenti, sarà di dar seguito a un lockdown, che di fatto è già iniziato, diramando le prime comunicazioni, anche alla popolazione."
Un leggero brusio si sollevò in sala.
Pensai che se i dati erano corretti non c'erano alternative.
"Agiremo secondo il protocollo dello stato di emergenza di DEFCON 2."
Il Centro aveva adottato l'altisonante modalità dei cinque livelli di guardia utilizzati dagli americani in caso di rischio militare. Un plagio che però rendeva bene l'idea. La scala andava da cinque (normale) a uno (disastro).
Si sollevò un mormorio più intenso.
"Beh, meno male", bisbigliò John, "siamo solo al due, uno sarebbe stato peggio."
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L'OMBRA DEL PIPISTRELLO
ПриключенияCiò che la natura non osa fare, sarà l'uomo a farlo. In una grotta sperduta un gruppo di ricercatori fa una scoperta inquietante. I fatti che seguiranno saranno solo l'inizio di qualcosa che nessuno avrebbe mai immaginato. Il carico misterioso trasp...