Capitolo 104 - Libera

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Quando Jane uscì all'esterno dell'aeroporto Leonardo da Vinci di Fiumicino le parve di aver sognato tutto.

Il rapimento, lo yacht, il virus... Lauren.

Sapeva che era stato tutto reale. Respirava l'aria come ne avesse sempre sentito la mancanza e la mascherina in questo non l'aiutava.

Proveniva ufficialmente dai Paesi Bassi, da un volo diretto Amsterdam–Roma e aveva un passaporto olandese, l'ennesimo documento falso di cui faceva fatica anche a ricordare i dati.

All'interno dei voli dell'Unione Europea i controlli erano ancora molto superficiali, solo rilevamento della temperatura del corpo, auto sorveglianza e quarantena domiciliare di una settimana qualora fossero presenti sintomi del virus.

Ma le cose sarebbero cambiate presto. Il patogeno si stava diffondendo anche al di fuori dell'Italia e molto velocemente.

Batchelor aveva detto a Jane che non sarebbe stata uccisa. Lei cominciò allora a credere che sarebbe diventata mera merce di scambio e non si era tranquillizzata.

Fu sorpresa quando quell'uomo biondo, più somigliante a un istruttore di surf che a un trafficante, gli disse che sarebbe stata libera.

Ora aveva capito che quanto promesso si era avverato e non le venne altro pensiero se non quello di ritrovare i suoi amici, Elisabetta e Michelangelo.

-

Lei mi guardò negli occhi, "Non abbiamo più parlato di quello che è successo l'altra sera."

"Non ne abbiamo più parlato, è vero. Ritieni che dobbiamo farlo?"

"Non lo so, ero già abbastanza imbarazzata, non vorrei ritrovarmi con quella sensazione."

"Perché sei venuta a casa mia?"

Elisabetta mi fissò con uno sguardo strano, ma ripensandoci non lo era più di tanto; era lo sguardo di chi sta pensando: ma davvero non l'hai ancora capito?

"Volevo vederti, ne avevo voglia... poi ho visto lei e mi sono sentita una perfetta idiota, per questo me ne sono andata."

In questi giorni avevo pensato a quello che c'era stato con Marika, qualcosa di intenso, ma che forse non era mai iniziato.

"Non dici nulla?" Mi chiese lei.

"Seguivo i miei pensieri, comunque con lei è finita."

Rimase in silenzio un attimo, "E questo cambia qualcosa? Intendo tra me e te?"

"No... non cambia nulla."

Girò il volto da un'altra parte, pensai a causa della mia risposta, ma capii, invece, che la sua attenzione non ero più io.

Entrambi guardavamo quella figura minuta venirci incontro. Nonostante indossasse la mascherina, nessuno di noi aveva alcun dubbio: era Jane.

Le due donne si abbracciarono per prime senza dire nulla, ma poi, con un nodo alla gola, Elisabetta riuscì a far uscire le prime parole, "Credevo di non rivederti più."

"E io ho creduto di morire."

Fu in quel momento che Jane si accorse di me. Mi avvicinai e l'abbracciai, "Ciao, Jane."

"Ciao", alcune lacrime le gonfiarono gli occhi.

"Vieni, ci aspetta un po' di burocrazia", non mi venne altro da dire.

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"Devo avvertirti che dovrai subire diversi interrogatori da parte di... colleghi dell'intelligence, ma poi potrai riposarti e dimenticare quanto hai passato."

"Non ho nessuna intenzione di andare in vacanza, devo rimettermi subito al lavoro, ma prima mi dovete dire che fine ha fatto Philippe Martin."

"Philippe, negli ultimi tempi, ha condotto una vita piuttosto... errante, ora è in un luogo sicuro ed è già al lavoro con un gruppo di esperti."

Il viso di Jane si illuminò di colpo, "Avevo pensato al peggio, ringrazio la provvidenza che è salvo e anche voi, naturalmente."

Io ed Elisabetta le sorridemmo, ma Jane cambiò ancora espressione, "Devo avvertire subito i miei collaboratori, Jeigei e Shaoran, se non gli è successo nulla, saranno convinti che io sia morta."

"Tranquillizzati, sono sani e salvi, sanno che stavi arrivando e... ci aspettano a Roma."

Jane mi strinse di nuovo a sè, "Grazie, mille volte grazie."

"Credo che siano già stati torchiati e la loro deposizione verrà integrata con la tua."

"Come li avete trovati?"

"Loro hanno cercato me. Avevo anche il contatto di Jeigei, l'ho subito cercato dopo la tua scomparsa, ma non era rintracciabile. Fino a quando però lui mi ha chiamato. Era al Ritz di Londra, mi aveva detto che dovevate incontrarvi lì."

È vero, ma non ci sono mai arrivata."

"Bene", disse Elisabetta raggiante, "fra poco ritroverai i tuoi amici."

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Jane, quando vide Shaoran e Jeigei, rimase immobile.

"Hotel Ritz a Londra aveva detto", ridacchiò Jeigei guardando Shaoran.

Jane stava per piangere e non era da lei.

"Non ci dici nulla?" continuò Jeigei. Shaoran era come pietrificato.

"Venite qua, io non ce la faccio, mi tremano le gambe."

I due uomini andarono da lei e l'abbracciarono contemporaneamente, Jane scomparve in mezzo ai due.

"Shaoran... non sei felice di vedermi?"

"Lo sono come non potresti mai immaginarlo, ho creduto di perderti e sarebbe stata colpa mia."

Jane lo guardò negli occhi, "Non mi hai perso e se fosse successo non sarebbe stata certo colpa tua."

Jeigei sembrava serio, "Jane ha ragione, non sarebbe stata colpa tua Shaoran, non del tutto... magari solo in buona parte", ridacchiò.

"Vedo che Jeigei è rimasto lo stesso", sorrise Jane.

"Sì, lo stesso rompipalle", tuonò Shaoran con un sorriso idiota stampato sulla faccia.

"Dovete raccontarmi cosa avete fatto al Ritz tutto questo tempo."

"Sono stati mesi interessanti, poi visto che non arrivavi, ce ne siamo andati... avevamo altro da fare. Ti avverto che il conto sarà salato."

Intervenne Shaoran, "In verità ci siamo fermati solo una settimana, lasciando detto di avvisarci se ti fossi fatta viva."

"Sei rimasto il solito buffone, Jeigei", sentenziò Jane ridendo.

L'OMBRA DEL PIPISTRELLODove le storie prendono vita. Scoprilo ora