Postfazioni al romanzo

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Prima postfazione

Ho iniziato la scrittura di questo romanzo il 9 marzo del 2020, in Italia, durante il grande lockdown che ci fece capire quanto fosse fragile la civiltà del terzo millennio. Non tutti capirono subito la gravità della cosa, persone utili solo alle statistiche di chi nega la realtà. Mi viene alla mente un detto: Uno stupido è uno stupido, due stupidi sono due stupidi, diecimila stupidi sono una forza storica (qualcuno dice che sia di Leo Longanesi, qualcun altro giura che appartenga a Winston Churchill).

La scrittura può venir facile se si vive un lockdown e immagino quanti diari siano stati creati o riesumati da qualche vecchio cassetto: "Caro diario non ci crederai, ma è scoppiata una pandemia."

Perché dovrebbe venir facile scrivere in una situazione come questa? Per lasciare una traccia... forse, perché dentro di te non sei sicuro se finirà bene... forse, perché sei stufo di fare biscotti, torte e pane in casa... forse, sei stufo di percorrere chilometri in bicicletta sui rulli come un criceto... forse, perché ti mancano i parenti, gli amici, i colleghi... forse. In realtà, per me, non fu per nessuno di questi motivi.

Sto scrivendo questa postfazione quando ormai è il 17 gennaio 2021 e il romanzo non è ancora concluso (e non so nemmeno se lo concluderò, ma se state leggendo è probabile che questo sia avvenuto). Nel dramma sono stato fortunato, lavoro in smart working e per ora il virus ha evitato me e chi mi sta vicino.

In Italia ci sono stati (per ora) 81.800 morti e oltre 2 milioni di contagiati, mentre nel mondo si sono avuti oltre 2 milioni di decessi e oltre 94 milioni di contagiati. Molti hanno perso il lavoro, tanti hanno dovuto affrontare momenti difficili, sotto tutti i punti di vista. Chiunque di noi ha visto stravolgere la sua esistenza, ma la nota positiva è che sono stati rilasciati dei vaccini e sta iniziando una colossale campagna di vaccinazione. Vedremo.

Quindi, per quale motivo ho voluto scrivere questo romanzo?

Il 2020 per me è stato un anno molto strano, particolare, non solo per il Covid-19. È arrivato un momento in cui ho pensato: "Ora mi sveglio, non ci credo che sto vivendo tutto questo", e non pensavo solo alla pandemia, c'era dell'altro.

Ecco allora l'idea di togliere la polvere al mio vecchio diario e scrivere quello che mi stava succedendo. Ma non avevo nessun diario e iniziarne uno alla mia età mi dava una sensazione strana. Inoltre, non ero così convinto di rendere pubbliche certe cose. Un diario dovrebbe essere privato. Vero, ma solo mentre lo scrivi, poi qualcuno lo leggerà e forse è quello che vogliono tutti gli scrittori di diari. Credo che far leggere il proprio diario sia il sentimento, velatamente nascosto, di evitare che quanto si è vissuto si perda (se non è stato già raccontato).

Ma il diario non faceva per me. Ecco allora farsi avanti chi mi suggerisce l'idea del romanzo, e lo fanno due persone a me molto vicine. Non era nemmeno una novità, era già successo altre volte che scrivessi. Anni fa avevo scritto alcuni racconti e un romanzo, tutti messi in un cassetto in attesa di qualcosa.

Geniale: potevo mischiare realtà e finzione, aspetti della mia sfera privata con invenzioni letterarie. Mi sembrava un'ottima idea e forse mi sarei anche divertito. Ma tornai subito alla realtà pensando che, se il tema fosse stato la pandemia, ci sarebbe stato poco da ridere. Riflettei su questo, ma per poco, decisi allora di buttarmi.

Veniamo ora al romanzo. In principio cercai di ripercorrere le tappe di questo dramma, ma in un contesto più allargato, dove tante verità si vestivano con gli elementi tipici di un romanzo d'avventura, dove tanti aspetti non erano veri ma potevano esserlo, dove luoghi e persone erano di pura fantasia, ma forse qualcuno o qualcosa è stato reale. Con lo scorrere delle pagine la fantasia ha prevalso sul resto e le tappe del romanzo hanno seguito altri percorsi rispetto alla realtà, ma questo era inevitabile.

Come mi era successo in altre occasioni, avevo in testa un'idea vaga di trama, ma poi il romanzo e i suoi personaggi - intesi come entità che durante la stesura vivono e mutano - hanno avuto il sopravvento diventando coloro che mi avrebbero guidato fino alla fine (e il titolo pensato fu proprio quello: "Fino alla fine"). Come diceva Stephen King, "lo scrittore è una specie di archeologo della scrittura, non fa altro che lavorare di scalpellino e spazzolino per far uscire una storia che esiste già, di cui lui ha intuito l'esistenza."

Una cosa simile l'aveva detta anche Michelangelo, quando creò il David, a chi gli aveva chiesto come avesse fatto, lui rispose: "Era già lì, nel blocco di marmo da quaranta tonnellate, ho solo tolto quello che lo nascondeva". Sarà per questo che nel romanzo il nome di uno dei protagonisti, colui col quale mi sono identificato, si chiama appunto Michelangelo.

Su Michelangelo - quello del romanzo, Rey per gli amici - voglio però sottolineare un aspetto. Sono entrato in simbiosi con lui a tal punto da voler scrivere in prima persona. Nel romanzo esiste perciò questa alternanza tra narrazione in terza persona (con il classico narratore più o meno onnisciente) e la narrazione in prima di Michelangelo Rey.

Per quanto banale, vorrei fare un'ulteriore precisazione su questo personaggio: non sono io e non è nemmeno chi avrei voluto essere; lui è un me stesso che dopo l'attività fatta con lo scalpellino ha poi assunto connotazioni sue, ma, inutile negarlo, ha anche molto di me.

Ritorniamo al romanzo. Nello scrivere è successa una cosa particolare: da un lato volevo fuggire da una realtà che sembrava un romanzo, dall'altro lato ho scritto un romanzo prendendo spunti dalla mia realtà. La cosa, è innegabile, era alquanto strana. Inoltre, la fuga in questo mondo parallelo non mi convinceva, sembrava di giocare su una disgrazia. Poi però mi convinsi che poteva essere un modo come un altro per esorcizzare quanto stavo vivendo io e milioni di persone. Allora mi convinsi che forse si sarebbe potuto fare, ci avrei perlomeno provato.

Esorcizzare, sdrammatizzare e togliersi da questo incubo, per entrare nella fiction, quella un po' all'americana, dove i buoni e i cattivi si individuano con facilità e dove si spera che "andrà tutto bene". La struttura è questa, ma occhio ai colpi di scena, ovviamente.

Per concludere avrei voluto dire che questo libro è stato scritto per tutte le vittime del Covid-19, ma non è così e mi sembrerebbe alquanto irriguardoso (per loro) se lo fosse stato.

In verità questo libro è stato scritto per chi avrebbe voluto leggere il mio diario mai scritto e per tutti quelli che mi sono stati vicini.

In un luogo tra le montagne del Nord Italia, 17 gennaio 2021

Seconda postfazione

Ho ucciso il mostro, ora non mi resta che gettarlo al pubblico (questa è veramente di Winston Churchill), ma devo prima ricordare che a oggi, nel mondo, più di seicento milioni di persone si sono contagiate e di queste oltre sei milioni sono decedute. Sono stati rilasciati quattordici vaccini, somministrate più di dieci miliardi di singole dosi e il 60,9% della popolazione mondiale ha ricevuto almeno una dose di vaccino.

In un luogo tra le montagne del Nord Italia, 5 gennaio 2023

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