Capitolo 94 - Una visita notturna

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La giornata al Centro era passata senza che provassi a sentirla, ma Marika aveva occupato lo stesso parte dei miei pensieri. La sera se ne stava andando e l'ipotesi che rimanessi lì non mi entusiasmava. Presi allora quella decisione che fino a poco tempo prima non avrei mai preso: quella di tornare a Tarquinia.

I 1.290 centimetri cubici del motore della Giulietta ruggivano, come quelli di un vecchio leone che nella sua fierezza cercava di combattere i segni del tempo.

Non scendevo mai sotto i centoventi chilometri orari, ma le strade erano deserte. In dieci minuti avrei coperto i venti chilometri che separavano Tarquinia dal Centro a Montaldo di Castro.

Poi capii che stavo facendo una cazzata e fermai la macchina.

Non mi fu molto chiaro quello che pensai, di certo c'era bisogno di me, ma da un'altra parte... il mio team aveva bisogno di me. E sul fatto che anche Marika avesse bisogno di me, ormai avevo preso la mia decisione. Non potevo far altro che cercare di proteggerla... nient'altro.

-

Tornai al Centro a notte inoltrata e mi stupii di non essere stato fermato da una pattuglia, le 22:00 erano passate da tempo e dopo quell'ora era vietato circolare.

Il cancello automatico sembrò aprirsi con un ritardo maggiore, la guardia voleva sincerarsi se fossi ancora io alla guida. Un cenno col mento mi fece capire che mi aveva riconosciuto. A chi credeva potessi aver dato una giulietta degli anni '50?

Il lungo corridoio che portava verso il mio ufficio era buio, ma mentre camminavo i sensori di presenza attivavano le luci a led davanti a me.

A quell'ora tutto era deserto, ma riuscivo a intravedere le luci accese degli uffici dell'altra ala, quella operativa. Lì si lavorava 24x7 e non poteva essere altrimenti.

Aprii la porta del mio ufficio, le luci si accesero, buttai la giacca su una poltrona e presi una bottiglia con un bicchiere dal mobile bar. Un Lagavulin vecchio di sedici anni, uno spreco se l'occasione non era delle più importanti. Gli aromi di un whisky scozzese invecchiato potevano competere con quelli del mio cognac preferito.
Sorseggiavo quel liquore e percepivo il sentore di torba e di sapori iodati di mare, magistralmente amalgamati, ma...

"Preferisco il mio cognac", bisbigliai a me stesso.

Le luci soffuse dello studio creavano una delicata penombra, mentre nel corridoio l'intensità luminosa era molto più forte. Era impossibile non vedere la silhouette di donna che si stagliava sulla porta.

Ero stravaccato su una poltrona con una gamba a sbalzo su uno dei braccioli e il bicchiere di Lagavulin in mano.

Guardavo affascinato quella figura, perché, oltre a essere sinuosa e sexy, apparteneva a una donna che se ne stava zitta sulla mia porta senza che io capissi chi fosse.

"Posso entrare?" La voce era calda e profonda.

Anche sensuale, pensai, incredibile questo Lagavulin.

"Non avendo sentito alcun diniego immagino che possa entrare", continuò la donna.

Si richiuse la porta alle spalle e a quel punto la misi a fuoco.

Alta, movimenti eleganti, splendido tailleur bianco con gonna appena sopra le ginocchia. A un metro di distanza da me si fermò.

Era impossibile non sapere a chi appartenessero quegli occhi con riflessi viola, anche se il viso era semicoperto da una mascherina bianca.

"Ciao, Elga, il tuo capo è già a nanna?"

L'assistente del dottor Santovito si tolse la mascherina, "Tampone negativo e temperatura sotto i trentasette gradi, non dovresti correre alcun pericolo."

L'OMBRA DEL PIPISTRELLODove le storie prendono vita. Scoprilo ora