Capitolo 21 - Michelangelo Rey

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Dicembre 2019

Monti Cimini – Tuscia Antica terra degli Etruschi

Italia

L'aria era frizzante. Il sentiero da single track saliva come uno sfregio lungo il bosco ricoperto di faggi. Non avevo la possibilità di fare grandi recuperi, solo negli stretti tornanti potevo vedere le pulsazioni abbassarsi di alcuni battiti, ma inesorabilmente il Garmin tornava a segnalarmi che ero ben sopra la mia soglia aerobica. Più di così io e la mia mountain bike non andavamo.

Uscivo spesso con Giuliano e questo era uno di quei giorni.

Ok... 175 battiti al minuto qualche anno fa li reggevo per oltre un'ora, adesso, visti i cinquanta suonati, forse non è ilcaso. Non potei che pensarla quella frase, l'ossigeno era troppo prezioso per parlare.

Su strappi, le cui pendenze sono ai limiti, rallentare significa abbandonare, significa mettersi a camminare e accompagnare la bici o peggio fermarsi. È la sconfitta.

Lui davanti a me non mollava, questo implicava una deduzione banale: nemmeno io avrei mollato.

Proviamoci, fino a 180 battiti posso arrivare.

Ma ormai ero alla frutta e l'amico davanti a me non sembrava accusare cedimenti, anzi, percepii che stava alzando il ritmo, perlomeno nella frequenza di pedalata.

No, non era solo la frequenza, stava aumentando la velocità e questo significava solo due cose: primo, che dovevo raschiare il barile e trovare la forza per erogare qualche watt in più; secondo, che ormai eravamo alla fine del pezzo più duro. Non conoscevo quel sentiero, ma conoscevo il mio amico avversario, se era ai limiti e gasava ulteriormente, significava una sola cosa: stavamo per scollinare.

Trovai la forza nascosta che mi servì per mendicare i watt che mi mancavano.

I muscoli si tesero e percepii un principio di crampi, merda non adesso! Riuscii però a non perdere terreno e nel punto in cui il sentiero si allargò, lo affiancai. Era il classico gesto di sfida: Sono qua, bello ,e non ti libererai di me, anzi, comincia a preoccuparti.

Il suo viso era una maschera di fatica, il mio immaginai non fosse messo meglio. Scollinammo appaiati.

La radura pianeggiante di fronte a noi fu come un'oasi; vicino scorreva un ruscello di acqua fresca gorgheggiante, mancava soltanto la presenza di dolci vestali che potessero darmi conforto qualora fossi stramazzato.

"Sei un maledetto bastardo", mi stupii di riuscire ancora a parlare.

"Ingrato, ti porto a scoprire nuovi tracciati e mi ringrazi così?" Giuliano ansimava peggio di me, "Ce la fai a tornare?" Era senza fiato, ma riuscì lo stesso a ridacchiare.

"Vai al diavolo."

Mezzora di discesa e arrivammo all'auto.

Dopo un veloce cambio di vestiti fissammo le bike sul portabici posteriore della sua Mercedes. Ripartimmo per Tarquinia.

In via Vitelleschi, una traversa di Via Pancrazio, Giuliano mi scaricò, "Ciao, grazie per il giro."

"La prossima volta prendo io la macchina."

"Il ferrovecchio vorrai dire."

"Non ti permettere, anonimo possessore di auto da dandy."

"Hai ancora forze residue per sganciare la bike? Senza rigare il mio gioiellino?"

"Se continui a fare il pirla te la sfregio con la chiave."

"Ok, ok. Rey, dimenticavo, ho sentito notizie alquanto strane."

"Quanto strane?"

"Troppo per crederci veramente... devo verificare l'attendibilità delle fonti."

Sganciai l'MTB dal suo supporto, "Si può conoscere almeno l'argomento?"

"Riguarda la diffusione di un virus sconosciuto in Cina. Ti darò qualche dettaglio in più... se ne varrà la pena."

"Ok, si sa che le tue fonti arrivano sempre prima di quelle ufficiali."

Giuliano eruppe in una risata, "Ci vediamo e... ricordati mercoledì sera."

"Cosa dovrei ricordare?"

"La seratina."

"Cazzo", odiavo quelle seratine, "ci penserò."

"Come? Quando mi dici così significa che non vieni."

"Infatti."

"Ma le ragazze sono già d'accordo."

"Meglio, così ne hai due."

"Razza di misantropo sociopatico."

"Preferirei definirmi poco incline alla vita sociale."

Dal finestrino della sua auto lui mi guardava cercando di capire quanto fossi serio o meno, "Non sarà per quella storia che ho sentito?"

"Quale storia?"

"Quella della giovane collega al Centro che ti fa gli occhi dolci."

"Se resti ancora per un po' in mezzo alla strada, con questo barcone, ti metteranno le ganasce, questa è una via storica di un certo pregio."

"Allora è una cosa seria... parlo della tua amichetta, non delle ganasce", mise in moto l'auto e partì sghignazzando.

Salii nel mio appartamento, nel palazzo Castelleschi.

Mi occupo di informatica, me ne sono sempre occupato e faccio parte di un gruppo in un centro informatico sui generis, direbbe qualcuno, io preferirei definirlo sperimentale. In realtà appartiene a una branca dell'AISE, l'Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna, in altre parole i servizi segreti italiani. Rispetto alla sede romana siamo un'entità che è stata decentrata in questo grosso bunker, che tutti chiamano il Centro, un ricondizionamento della centrale elettronucleare di Montaldo di Castro in un moderno centro ITC.

L'originale centrale nucleare non entrò mai in funzione. Fu costruita negli anni Ottanta e in seguito al referendum del 1982, contro il nucleare, non venne mai utilizzata. Costò 7.000 miliardi di lire (3,6 miliardi di euro di oggi). Con due reattori avrebbe prodotto quasi 2.000 Megawatt di potenza. Nel 1989 venne prima riconvertita in una centrale a policombustibile, riutilizzando le prese per l'acqua a mare. E fu così che nel 2018 fu creato questo enorme HUB informatico nel quale si calò il meglio della tecnologia esistente: servizi cloud, data lake, elaborazioni big data, intelligenza artificiale e quantum computing.

Il mio lavoro mi portò prima in giro per il mondo, poi a Roma e infine qui al Centro di Montaldo di Castro.

Dimenticavo: mi chiamo Michelangelo Rey.

>>> continua...>>>

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