Capitolo 70 - Se l'inferno esiste, Roma ci è seduta sopra

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Vittorio Santovito Vichi era figlio d'arte, o meglio figlio della politica. Suo padre fu un esponente di spicco della vecchia DC. Era, come si dice, di buona famiglia e aveva preso una laurea all'Istituto di Studi Politici S. Pio V di Roma, diventata poi Università degli Studi Internazionali. Vita agiata e una carriera già scritta, dimenticavo... enorme imbecille pieno di sé, forte con i deboli e debole con i forti.

Il suo buon gusto l'avrei definito tendente al barocco pacchiano, vantava però una spiccata predilezione per sigari cubani Cohiba. Teneva, in un umidificatore in mogano, degli opulenti Siglo VI Tubos da 150 mm, che sfoggiava a ogni evenienza.

Il suo orologio faceva impallidire il mio IWC, in quanto a prezzo perlomeno, un Breitling in oro rosso da oltre ventimila euro, tanto per essere espliciti.

Persino la mignotta che si era trascinata da Roma era di una certa classe. Istruita, colta e... smisuratamente troia, oltre che ambiziosa.

Non so se, come uomo, fosse felice. La moglie, dopo aver accettato i suoi tradimenti con sapiente applicazione della biblica lex talionis, decise che era ora di farla finita. Se ne andò alcuni anni prima, portando con sè la loro villa ai Castelli Romani e un trentenne che le avrebbe allietato le nottate.

Vittorio Santovito Vichi aveva comunque diversi altri problemi e uno di questi... ero io. Problemi che erano destinanti ad aumentare, dopo il suo incontrato con il senatore Cragno nella villa a Castel Gandolfo: le foto prese dal teleobiettivo furono senza dubbio di qualità eccelsa.

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La mano del capocentro tradiva un lieve tremore, mentre si versava del bourbon.

Elga Ansaldi lo abbracciava da dietro, tenendogli le mani al petto, "Che c'è, cucciolotto?"

"E me lo chiedi? Siamo a rischio pandemia, quell'egocentrico bastardo di Rey non perde occasione per mettermi in ridicolo e io dovrei tenermelo buono?"

"Non stai vedendo le cose in modo troppo negativo?"

"Non abbastanza! Lui ha l'attenzione e il rispetto di tutti", tracannò d'un fiato le tre dita di scotch, "esattamente quello che io non ho."

"Però tu... hai la mia di attenzione", il volto della donna trasmetteva qualcosa di trasgressivo.

"Sì, certo", rispose senza darle la minima attenzione, perlomeno finché lei non cominciò ad accarezzarsi la grossa fibbia di ottone della cintura. Infine la slacciò, facendo scivolare a terra la gonna in pelle nera.

Con un piede se ne liberò buttandola da parte. Rimase ferma per un attimo, con le gambe divaricate, sfoggiando un G-string di sua natura minimalista. Quando, con lenti gesti, si tolse il perizoma e si mise sulla poltrona, in posizione esplicita e provocante, rivoli di sudore tornarono a ricoprire il viso di Vittorio Santovito.

Lei confidava nella consapevolezza che le sarebbe aspettata una cosa di non lunga durata.

Lui le era già addosso, ansimante. Il problema più grosso, per lei, era aspettare che si togliesse da lì. Centodieci chili sudaticci, spossati dal pur breve coito, portarono l'uomo a indugiare sopra di lei più del necessario.

Non era chiaro se fosse per riprendersi o per godersi fino in fondo la fugacità di quell'atto. Il suo piccolo pene uscì da lei, più per il semplice principio fisico della ritrazione, che per sua stessa volontà.

Il lento regredire del respiro affannoso, infine, diede un tono eroico alla sua scopata.

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"Ci voleva!", Santovito si stava rimettendo quelli che sembravano essere degli enormi mutandoni, "Non ne convieni?"

Elga si era già infilata nel bagno interno dello studio.

L'OMBRA DEL PIPISTRELLODove le storie prendono vita. Scoprilo ora