Capitolo 73. Maschere di Munch

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Ho un irrefrenabile bisogno di circondarmi di scompiglio.

E mi lusinga sapere che l'ho creato io.

Jacob Torres

JACK

Al momento siamo nella mia cabina armadio dopo aver amorevolmente rotolato fra le coperte.

Più che cabina direi più una sorta di 'casa armadio' essendo che consta di ottantaquattro mq.

Le camicie sono appese per occasione e colore, dal bianco per le esigenze formali al nero per le cene di lavoro. Le scarpe sono divise in maniera analoga: quelle eleganti e quelle che comprendono le mie attività sportive quali palestra, pallavolo e l'attrezzatura da hockey.

Cinte, cravatte e accessori si trovano nei cassetti. Jeans appesi al lato della parete di fronte alle camicie. La stanza si compone di specchi, divani per cambiarsi e una morbida moquette beige in contrasto con il solito legno marrone scuro di quercia. Una collezione di orologi in fondo alla stanza affianca quella dei profumi. Diciamo che quando non vesto con ginocchiere e magliette sportive, ho bisogno di conservare una certa classe per le occasioni ufficiali delle quali la mia agenda ne ribolle.

La mia dolce farfalla si guarda intorno, sfiorando con le dita il tessuto delle camicie e quando capita si guarda allo specchio.

"Wow..."

Le cammino dietro con le mani nelle tasche dei miei jeans amando vederla curiosare come una bambina. "Sei... una sorta di ossessionato dall'ordine".

Un ossessionato di camice, rolex ed eleganza.

E di lei.

"Diciamo che tendo ad essere attinente all'occasione che mi compete".

Si gira verso di me con le braccia conserte. "Non credo che qui troverò qualcosa, a meno che tu non voglia farmi indossare una tua camicia per la festa di questa Sandy".

Rimarca il nome con una smorfia sul viso. Percepisco una gelosia velata. "Le mie camicie ti stanno da Dio, forse dovresti guardarti meglio allo specchio davanti a te".

Indossa solo una mia camicia celeste che le mette in risalto i capelli scuri e ha insistito per indossare la biancheria. Io avrei evitato.

La guardo dalla testa ai piedi con ammirazione. Lei arrossisce e si gira facendo finta di essere indignata.

"Ho allestito per te una zona nella mia cabina, vieni".

Attraversiamo alcuni corridoi fino ad arrivare ad una stanzetta bianca con gli stessi mobili del resto della struttura, ma ricco di vestiti presi su misura dal sottoscritto. Per lei.

"Come fai a non perderti qui dentro?" Mi dice guardandosi ancora intorno.

Scrollo le spalle. "Istinto di sopravvivenza".

Si gira verso di me e fa una delle sue smorfie adorate, ancora. "Come fai a sapere ogni mia taglia precisa?"

Inclino la testa fingendo di non capire. "Che intendi, amore?"

Mi indica vari mobili. "Lì ci sono delle scarpe sportive, qui dei tacchi, tutti questi vestiti... ti ho mai detto che taglie porto?"

Mi avvicino a lei, incredulo che non abbia ancora capito i miei metodi. "Ti svelo il mio piccolo segreto allora" le accarezzo la schiena lentamente. "Ogni volta che ti tocco, le mie mani ti studiano..." le passo le labbra sul collo "come anche la mia lingua, la mia bocca..." passo la mano sulla sua coscia. "Una volta ti dissi che per quanto non volessi mostrarmi il tuo corpo io ti ho amata, ma anche studiata. Quindi ho proiettato tutto di te nella mia mente mentre sei al naturale". La guardo negli occhi, fisso. "In modo tale da avere impressa ogni tua forma, alla quale avrei pensato ogni istante e avrei desiderato toccare ancora e ancora".

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