Capitolo 92. Non vedo più farfalle

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Ah, questo vuoto! Quest'orribile vuoto che sento qui nel petto!

Spesso penso: se tu potessi stringerla una volta, una sola volta al tuo cuore,

tutto questo vuoto sarebbe colmato.

Johann Wolfgang von Goethe

JACK

Quindici elicotteri. Quattrocento soldati. Seicento pezzi di armeria.

La gola brucia per la corsa e le gambe sono distrutte. Devo aver lasciato dei vestiti per la strada mentre correvo perché inizio ad avvertire il gelo della notte.

Ho corso tantissimo per cercare di raggiungerti. Tanto che ho avuto diversi crampi in punti distinti del mio corpo fino a cadere per terra e nonostante la terra dei boschi e le fratte in cui mi sono nascosto ho corso, corso, corso.

Te lo giuro, amore mio, se non mi è venuto un attacco cardiaco per mancanza di ossigeno è perché qualcuno mi ha seguito e salvato tramite rianimazione, nonostante non so cosa abbiano effettivamente rianimato. Perché sei lontana, non so dove. Il mio cuore senza di te non batte più... come all'inizio.

L'agonia è un sentimento che credevo di aver provato e invece ebbi solo un assaggio. Alcune cicatrici sul mio corpo non sono nulla in confronto allo squarcio nel petto che mi sta impedendo di essere connesso al mondo. In queste situazioni avrei dovuto attuare un piano e mantenere lucidità, ma credo di essere svenuto qualche volta. O forse la vista mi si è appannata per disidratazione e tachicardia.

Non è successo. Non è successo. Non è successo.

Sto ripetendo queste semplici parole da qualche minuto, ma ho perso la mia cognizione spazio-tempo quindi potrei non essere cosciente al momento.

Credo che sia un sogno, in cui c'è un incubo reale. Ho permesso che la mia unica luce di salvezza mi venisse strappata via e ora vedo nero, buio. Alzo il viso, tra le voglie degli alberi vedo solo nuvole e il cielo e spento. Non so a quale stella aggrapparmi, tu non ci sei più. Delle braccia mi scuotono ma io ricordo solo come si muove la bocca per pronunciare determinate parole.

Non è successo. Non è successo. Non è successo.

Uno schiaffo, due, tre. Acqua gelida in faccia, sul corpo. Non riesco a svegliarmi da questo incubo perché un'ombra di tormento, no, è un eufemismo, terrore puro mi sta risucchiando vivo.

Cerco delle farfalle, non le vedo. Questo sogno è una tragedia: da un momento di pura felicità vengo assalito dalla voglia di morire, perché un dolore così grande deve essere spezzato in fretta.

È insopportabile.

Vedevo il vuoto sotto ai miei piedi e volevo buttarmi, perché sapevo che avrei messo a tacere il mio dolore. Ma ancora una volta delle mani mi salvano. Mi scuotono. Ripetutamente. In maniera disperata. Ma che senso ha vivere quando non hai più la tua stella salvatrice o ciò per cui lottavi è stato rapito. Io sono finalmente nell'Inferno.

Poi però vedo degli occhi, nel cielo. Hanno proprio la forma di un paio d'occhi quelle stelle. Singolare, quasi vorrei scattare una foto. Ma io non scatto mai foto, quindi perché dovrei farlo. Chi mi avrebbe mai insegnato a fare una cosa del genere? Questi occhi sorridono, mi riscaldano e ho un attimo di pace da questo tormento, come se il mio squarcio si stesse richiudendo molto lentamente. Ecco un sorriso, un delizioso sorriso. Così familiare e caldo che mi conforta. Delle piccole ali di farfalle celesti svolazzano intorno a me e sento il solletico delle loro zampe sul dito, sulla spalla. Forse sono venute a prendermi, forse non sono più in vita e questo è un modo per portarmi in maniera dolce e ingannevole nell'Inferno. Quindi è meglio godersi tutto questo prima di passare la mia eterna e attesa agonia. Mani delicate poi mi accarezzano il viso e chiudo gli occhi, perché il tocco è caldo e morbido e io amo sentirlo. Affettuoso così tanto da sentirmi protetto e a casa.

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