Capitolo 28

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《Avrai vinto quando guarderai negli occhi di chi ti ha ucciso e non proverai più dolore》

Vega

Avrei preferito che mi dicessero da piccola quanto possono essere forti le nostre emozioni. Così vivide. Così pericolose. Mi avevano mostrato la felicità, il gusto di una risata. Ma avrei preferito che mi avvisassero che avvolte possono prendere il sopravvento anche le emozioni negative, come la rabbia o l'ansia, un po' come in Inside Out 2. Si, mi sarebbe piaciuto. Invece sono qui seduta sul mio letto con un attacco di panico. Incapace di gestirlo. Di gestirmi. Alexia si accovaccia subito davanti a me, prende le mie mani nelle sue e comincia a parlarmi con parole dolci, instaurando un contatto visivo con me 《Respira con me. Inspira. Espira. Inspira. Espira. Sei al sicuro, sul tuo letto, con me, ci sono io, stringi forte le mie mani, sei qui, seduta sul tuo letto, è tutto okay, nessuno può farti del male finché qui ci sono io》lei mi parla con lentezza e con affetto, ed io faccio ciò che dice e la ascolto attentamente, concentrandomi sulla sua voce. Respiro profondamente. Vedo tutto sfocato, la stanza intorno a me gira veloce e tutto mi sembra scuro e confuso. Le nostre mani sono strette, io le stringo forte forte, per aggrapparmi alla realtà, e lei con le dita mi accarezza il dorso. Mi sorride. È incredibilmente rilassante, e mi fa sentire meglio. Il mio attacco di panico passa pian piano, ed è tutto merito suo. Poi si alza, si mette affianco a me e mi asciuga le lacrime con delicatezza, e mi abbraccia. Io mi lascio cadere tra le sue braccia e lascio che il suo corpo mi riscaldi. Lascio che mi mostri affetto. E anche io gliene dimostro. Alexia riesce a gestire bene la situazione, ed è la prima volta che qualcuno riesce a gestire un mio attacco di panico. Non li ho spesso, ma quando avvengono sono forti. Non mi guarda con occhi sprezzanti, giudicanti, non mi guarda come se fossi strana o come se fossi infantile. Mi guarda e basta, mi guarda con gli occhi sorridenti. La nostra camera è silenziosa, accompagnata solo dal rumore che fa il mio respiro agitato. La testa smette di girarmi e non sento più quel male improvviso al centro del petto. Mi alzo lentamente. Rifletto a ciò che sta accadendo. In tutto questo tempo ho finto che Alexia non fosse qui, e non mi sono interessata a lei, perciò non so se lei ha conosciuto bene mio..nostro padre. In realtà, non so niente di lei. In ogni caso, deve sapere cosa sta per accadere. Mando giù un groppo di saliva e mi dico di parlarle, ma la voce non mi esce, per quanto io mi sforzi. Alexia nota che voglio dirle qualcosa e mi guarda con infinita pazienza 《Io sono qui, prenditi il tuo tempo, non scappo, promesso》mi fa sorridere, trovando più coraggio e sicurezza per parlare. 《Mio padre..nostro padre..vuole fare una grigliata》riesco a sussurrare, ho una paura che ci sentano. Che ci senta. 《È questo che ti spaventa?》sussurra anche lei, io ci rifletto, non so come esporle la situazione. È come se non ci riuscissi. È tutto dentro di me, ma non riesce ad uscire, non riesce a farsi strada. 《Papà è..particolare》la guardo con una leggera paura 《Non so se tu e lui, e forse tua madre, avete mai fatto una grigliata tutti insieme..》lei mi osserva e storce un po' la bocca 《Forse..forse so a cosa ti riferisci》dice, anche lei sembra un poco spaventata 《Lui..ama..ama..》balbetta, sa che sono sensibile alla questione, e ha paura di dire qualcosa che potrebbe farmi tornare in uno stato di panico. 《Ama bere》sentenzio io con amarezza 《Beve come un alcolizzato, perché quello è ciò che lo rende felice, e il suo umore cambia con lui》lo dico con immensa rabbia. La guardo un po' confusa《Allora..anche tu hai visto quel lato di lui?》sussurro triste. Anche lei pare triste 《Solo qualche volta..》ammette. Ho sempre sperato che almeno lei non lo avesse visto, ma non si è salvata nemmeno lei. Mi passano per la mente così tanti flashback della mia infanzia. Sono insistenti, e mi vengono all'improvviso per farmi male. Davanti ai miei occhi rivedo le scene che più mi hanno segnata, in una maniera così viva da farmi un male atroce. Nostro padre apre all'improvviso la porta della camera felice 《Dai, preparatevi che andiamo》dice e noi immediatamente facciamo finta di essere entusiasmate per ciò che ha appena detto. 《Subito!》esclama Alexia, ed io non riesco a non notare quanto siamo simili in questo. Entrambe nascondiamo i nostri veri stati d'animo, e li sostituiamo con entusiasmo e falsa felicità. Appena nostro padre richiude la porta, noi gettiamo per terra le maschere che stavamo indossando e torniamo tristi e spaventate. 《Cosa vuoi fare?》mi chiede Alexia, pensa che abbia un piano. Forse si, ma non ne sono sicura. 《Niente. Non intendo andare a quella grigliata. Mi rifiuto》la mia voce è totalmente indifferente e il mio sguardo è perso dinnanzi a me, nel vuoto. 《Niente? Se ti rifiuti, lui si arrabbierà di più》lei pare preoccupata per me. Ha ragione. 《Tu cosa vuoi fare?》poso per qualche secondo lo sguardo su di lei 《Andiamo alla grigliata, comportiamoci bene e facciamo attenzione noi, c'è anche tua madre Vega, non possiamo abbandonarla》la osservo, quasi disinteressata. O più, disperata. Ha di nuovo ragione. Non posso abbandonare mia madre. 《Va bene》sussurro, arresa. Mi alzo ed esco dalla camera, seguita da lei. Scendiamo velocemente le scale, troviamo mia madre davanti alla porta un po' sconcertata. La guardo attentamente, esamino ogni centimetro del suo corpo e della sua pelle esposta. Sta bene. Non le ha fatto niente. Non ha ancora fatto niente. Saliamo tutti in auto, avvolti da un silenzio religioso. Mia madre e mio padre davanti, lui alla guida, ed io e Alexia dietro. Ma d'un tratto, mi sale il panico totale. Inizio a pensare che non devo assolutamente, per nessun motivo, andare lì. Devo ribellarmi e impedire tutto questo. 《Ho dimenticato una cosa in casa!》esclamo agitata, come se non fossi stata io a dirlo, prima che mio padre metta in moto la macchina. 《Prendilo velocemente e torna》mi ordina un po' spazientito. Io mi slaccio la cintura e scendo dall'auto, corro in casa presa da un impeto di un'emozione forte. Entro in casa e richiudo alle mie spalle la porta con forza. Mi guardo attorno. Cosa posso fare? Come posso impedire tutto questo? Mentre osservo ciò che mi circonda in modo quasi ossessivo, vedo una grande finestra sul retro della casa. L'idea mi passa per la testa veloce come un fulmine. Scappare. Corro alla finestra e la spalanco, esco e atterro sul piccolo cortile che abbiamo. Ora è semplice, mi basta passare in modo furtivo e agile per il cortile del vicino e avrò libero accesso alle strade della città. Mi sollevo in punta di piedi e dalla staccionata di casa nostra guardo se c'è qualcuno nel loro cortile. Non c'è nessuno fortunatamente. Scavalco con fatica e poi corro per il suo giardino ben curato, scavalco anche la sua staccionata e mi ritrovo sulla strada. Mentre corro penso a cosa succederebbe se mi scoprissero scappata. Scaccio immediatamente quei pensieri, perché se mi faccio prendere dall'ansia e dalla paura, mi tradisco da sola. Prendo il mio telefono e lo lascio su una sedia nel cortile del vicino, appoggiata alla staccionata. Così non potranno rintracciarmi. Con lo sguardo ispeziono la zona. Questa è la parte di città più abbandonata. Per la maggiore è abitata da anziani, non ci sono parchi e non ci sono monumenti da visitare, perciò non ci sono nemmeno i turisti. È perfetto per me. Comincio a correre come una pazza e giro e rigiro per le stradine, ogni tanto mi guardo indietro. Qui tutte le case sono uguali. Basse, piccole e tutte dello stesso colore. Un giallo chiaro fastidioso per gli occhi. È facile perdersi se non si conosce bene la zona. Ed io la conosco solo per una piccola percentuale. Ma mentre scappo, non mi interessa se c'è la possibilità che possa perdermi. Non mi interessa. Ho più paura di altro. Quando sono stanca e abbastanza lontana, mi fermo. Non c'è nessuno. Saranno tutti a pranzare ormai. Continuo a camminare in cerca di un nascondiglio, ma più vado avanti e più mi rendo conto di aver fatto una cosa stupidissima. Come mi è venuto in mente di scappare? Ho appena abbandonato sia Alexia sia mia madre. Ho appena firmato con la mia mano una condanna a morte. Mio padre mi ucciderà. E loro due saranno deluse e preoccupate. Dio, perché l'ho fatto? Così non risolvo niente! Rimando solo il momento e peggioro pure la situazione! Non lo so, ero presa da troppe emozioni in una volta e..e sono scappata. In quella finestra ho visto la libertà. Passo davanti ad un'altra stradina, e poi ancora una. Con la coda dell'occhio mi è sembrato di vedere qualcuno. Torno indietro e guardo meglio. Dio mio, ma quello è Siro. È seduto per terra, appoggiato contro il muro di un palazzo. Ha gli occhi chiusi, la fronte sudata e dalla sua espressione sembra arrabbiato, in preda all'agitazione. Per qualche secondo mi ricorda me. Continuo ad osservarlo. Sono indecisa se avvicinarmi o meno. Sto scappando, i miei genitori e Alexia verranno a cercarmi presto. Lo osservo più attentamente. È così stanco e solo. Alla fine, dopo tanta indecisione, decido di avvicinarmi. Non so con quali intenzioni e per quale motivo. È che mi sembra solo e disperato, e in effetti lo sono anche io, quindi, forse, potrebbe farmi compagnia. Mentre mi avvicino a lui mi dico che è un pensiero stupido. Sono stupida. Lui non si accorge di me, forse troppo preso dai suoi pensieri. 《Siro..stai bene?》sussurro. Lui apre gli occhi improvvisamente.





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