13°Capitolo-Cattive notizie

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13°Capitolo

Non so il perché, ma quando quella frase risuonò piano nell'aria, una specie di ansia si infiammò nel mio petto.
Quella frase, quella maledetta frase fu l'inizio di tutto. Forse era stata detta nel posto sbagliato, nel momento sbagliato o dalla persona sbagliata. Ma quello fu l'inizio, l'inizio della mia nuova vita? Questo non saprei dirlo neanche adesso.
In quel momento ero rimasta imbambolata a guardare l'ignoto a lungo. Nessuno dei due osava fiatare, forse per paura mischiata ad imbarazzo o perché non credevamo che a prendere la parola dovesse essere la nostra persona.
Ma qualcosa dentro di me si mosse e mi incitò a produrre qualche suono comprensibile per la persona che stava davanti a me.
-Hai ragione –sussurrai.
Sul momento, pensai che non lo avesse sentito per colpa della mia voce uscita così flebile, nonostante fosse già tanto che fosse fuoriuscito un suono.
La mia teoria iniziale crollò quando notai i suoi occhi, che fino a poco prima vagavano senza meta per la stanza, si fermarono e puntarono come obiettivo i miei.
Mi guardò interrogativo e io scossi la testa, per rimangiarmi quello che avevo appena detto.
-Certo che sei strana, Evans –sospirò appoggiandosi con le mani per reggersi.
Come se fossi l'unica strana in quella stanza.
-Parla per te, Cruz –ribattei.
Rimanemmo di nuovo in silenzio e io incominciai a vagare con il pensiero. Mi soffermai su quell'uomo che avevamo visto qualche ora prima.
Ci aveva promesso che avrebbe trovato delle risposte, ma davvero potevo fidarmi di lui? Era un signore che avevamo appena conosciuto e già quella parola era un'esagerazione. Non che gli avessi rivelato cose top secret, la sanno praticamente tutti, ma qualcosa non mi quadrava.
-A che pensi? –mi chiese notando la mia assenza.
-A niente –mentii.
Mi guardò storto. Probabilmente avrebbe aperto bocca se qualcuno, bussando, non lo avesse fermato.
-Avanti! –dissi tornando sulla terra.
Una ragazza fece capolino dalla porta.
-Signorina Evans, la sua macchina è qui -
Non capii subito, quindi decisi di chiedere informazioni approfondite.
-Non dovevo rimanere qui? -
-No, abbiamo deciso che può tornare a casa tranquillamente -
-Ah ok, grazie –dissi sorridendo. Per fortuna non dovevo passare un'intera notte in quell'infermeria paurosa e buia.
-Signorino Cruz –continuò.
Aidan si girò e la guardò, come se sapesse già cosa dovesse dire.
-Leonard non riuscirà a venirla a prendere, se vuole può rimanere qua -
-Ah, grazie lo stesso ma tornerò a piedi –rispose congedando poi la ragazza.
-Che ne dici di venire da me? –chiesi.
Non mi sarebbe dispiaciuto, ero figlia unica ed ero sempre da sola. Qualcuno con cui parlare alla sera faceva sempre piacere.
-Se per te non è un disturbo –rispose guardando da un'altra parte.
Ridacchiai sotto i baffi.
-Tranquillo, però in cambio una cosa –dissi.
-Sarebbe? –chiese preoccupato.
-Prendermi in braccio –dissi allungando le braccia verso di lui come una bambina.
Rimase per un momento interdetto, poi si riprese e capì. Si avvicinò a me e mi prese accompagnandomi alla macchina.
Quando Julius ci vide rimase a bocca aperta.
Seguì i nostri movimenti dal primo all'ultimo, assicurandosi che non fosse un'allucinazione, fino a quando non chiese spiegazioni.
-Non lo sappiamo –dissi sorridente mentre la macchina partiva.
-Deve essere un grande onore per lei, Signorino –disse.
-Come no –disse rigirando gli occhi.
Quel tono così pacato, così menefreghista, mi urtava i nervi. Era lunatico da far paura. Alcune volte lo volevo riempire di baci per la sua dolcezza, altre volte lo volevo uccidere con le mie mani in modo molto lento e doloroso.
Incrociai le braccia, accavallai le gambe e mi girai dalla parte opposta alla sua.
-Gentile come sempre –sbuffai.
-Da che pulpito –mugugnò appoggiando il mento sul palmo della sua mano.
Feci pressione sulle gambe per drizzarmi.
-Tu –le parole mi morirono in bocca quando sentii un dolore lancinante provenire dalla caviglia. Mi risedetti a modo di colpo, tenendomi la caviglia. Proprio in quel momento dovevo fare la scema.
-Tutto a posto? –mi chiese Aidan.
Ok, dire che era lunatico era veramente troppo poco.
-E a te che importa? –risposi acida.
-Ok sto zitto –disse rimanendolo per tutto il viaggio.
Appena varcammo il portone di casa mia, mi assalì Luna super preoccupata e sconvolta. Non la vedevo da due giorni ma sembrava di non vederla da una vita.
Vedeva la "principessa intoccabile" in braccio ad un ragazzo senza protezioni e non si scottava.
Ci guardò inizialmente come per chiedere spiegazioni.
-Non si sa –dissi abbastanza imbarazzata da quella scena. Spostai lo sguardo sul viso del ragazzo, era abbastanza turbato pure lui. Aveva la visuale da tutt'altra parte e le gote leggermente arrossate.
Ridacchiai leggermente davanti a quella scena, attirando la sua attenzione.
-Come mai sei in braccio ad Aidan? –chiese mio padre sbucando dal nulla. Si faceva vedere sempre nei momenti meno opportuni e giustamente, si era scordato che non potevo essere toccata da nessuno abitualmente.
-Mi sono slogata una caviglia –risposi distaccata.
-Tesoro, Aidan caro, puoi portarla in camera sua? –chiese mia madre comparendo pure lei dal nulla.
-Certo –balbettò per poi svignarsela insieme a me.
Mentre salivamo, chiusi gli occhi, sentendo il suo respiro sul mio collo.
-Non sei molto pratico in queste situazioni –commentai sorridendo.
Era troppo divertente vederlo in difficoltà.
-Per una volta hai ragione –disse.
Entrammo in camera mia e mi fece sedere sul letto, mentre lui rimase in piedi.
-Grazie mille Aidan –dissi sorridendo.
Il rapporto che avevamo noi due era strano. Litigavamo in continuazione, ma allo stesso tempo andavamo d'accordo e stavamo bene insieme. Sembravamo cane e gatto. Si odiavano a vicenda, ma se non avevano qualcosa per cui litigare, stavano bene insieme.
-Mi puoi prendere quella crema? –chiesi all'improvviso, indicando un mobile dall'altra parte della stanza.
Lui annuì e obbedì senza chiedere niente.
Me lo porse, tolsi le bende dalla caviglia e ci spalmai quella crema. Era una pomata speciale per le ferite. L'aveva fatta Luna e ogni volta che ne mettevo un po' il dolore compariva in meno di 5 minuti.
-Senti, Aidan? –lo chiamai attirando la sua attenzione, che fino a pochi secondi prima era rivolta verso la finestra.
-Dimmi -
Chiusi il tubetto e lo appoggiai al comodino.
-Come mai Leonard non riesce quasi mai a venirti a prendere? –chiesi.
Sospirò e si passò una mano tra i capelli, portandosi indietro quel ciuffo che copriva quasi del tutto l'occhio destro.
Volevo saperlo, non avevo mai visto Leonard e volevo saperne di più della sua famiglia.
-Diciamo che si occupa praticamente di tutto lui –disse sospirando.
-Cioè? –chiesi.
-Dalla morte dei miei genitori, lui si occupa di tutti i problemi finanziari, bancari e così via. Io essendo all'epoca troppo piccolo non potevo capirci molto e lui decise di prendere il posto di mio padre, aspettando che diventassi grande. Anche se neanche adesso ci capisco molto –disse con un tono nostalgico nella voce. Parlava di lui come se ricordasse un eroe.
-Devi proprio voler bene a Leonard –risposi accennando un sorriso.
-È come un padre per me, quindi sì –disse sedendosi a gambe incrociate sul pavimento.
-Alcune volte sei molto dolce, piccoletto –dissi ridacchiando. Quando voleva sapeva essere veramente dolce. Mi fulminò con lo sguardo e io ridi più forte.
Qualcuno bussò alla porta e io, come mio solito, diedi il permesso di entrare.
Comparve Luna, con una faccia a dir poco scioccata e combattuta. Aveva una lettera in mano.
-Signorina, può venire un attimo? –mi chiese con voce tremolante.
Mi spaventai e il senso di ansia tornò più forte di prima.
-Certo –dissi preoccupata.
Aidan si stette per alzare ma lo bloccai.
-Ce la faccio –dissi incominciando a camminare come se non fosse successo niente. Quella crema faceva veramente miracoli, non sentivo più niente.
Mi chiamò fuori nel corridoio e mi porse quella lettera, spiegandomi cosa fosse successo per filo e per segno e cosa ci fosse contenuto nella lettera.
Il mondo mi crollò addosso con una semplice frase. Strinsi i denti e cercai di cacciare indietro le lacrime.
Non poteva essere, proprio in quel momento.
Rientrai nella camera con un'espressione indecifrabile dipinta in volto.
-Ehy, che è successo? –mi chiese preoccupato.
Mi appoggiai alla porta, nascondendo la lettera in un cassetto lì vicino. Non potevo dirglielo, non ce la facevo, ma doveva sapere.
Presi un gran respiro, lasciando sfuggire involutamente una lacrima sul mio viso.
-Ehy, mi stai facendo preoccupare –disse girandosi del tutto per guardarmi.
-Aidan –sussurrai con voce flebile.
-Julie, non girarci troppo –disse veloce e secco.
Quante volte avrebbe dovuto sentire questa frase? Quanto ancora avrebbe dovuto soffrire? Non aveva già patito abbastanza? Probabilmente no. Avrebbe sentito quella frase all'infinito, come un loop.
-Leonard, è morto -
E lì il mondo mi crollò totalmente addosso, quando vidi le sue lacrime.

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