CAPITOLO 2

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Il momento della verità si avvicina.
Siamo tutti seduti ai lunghi tavoli della mensa e i nostri esaminatori ci stanno chiamando a gruppi di dieci persone alla volta. Ad ogni gruppo che viene chiamato sento la tensione crescere.
Anche se siamo tutti nella stessa sala, ognuno è seduto accanto ai membri della propria fazione. Io sono una dei pochi Pacifici rimasta seduta sulla sedia accanto al tavolo, tutti gli altri sono seduti in cerchio sul pavimento intenti a giocare alla variante canterina di "mano, mano".
Il loro comportamento mi fa sentire in imbarazzo, immagino cosa staranno pensando gli altri nel vederli giocare a uno sciocco gioco da bambini di sei anni. Avrei preferito che decidessero di giocare a nascondino in modo da potermi nascondere in un posto dove non farmi trovare ed evitare gli sguardi dei nostri coetanei che hanno avuto la fortuna di nascere in una fazione meno chiassosa.
Mi guardo intorno e noto che in pochi stanno facendo caso al rumoroso gruppetto di persone vestite in giallo e arancione seduti sul pavimento.
Al tavolo accanto al mio, un gruppo di Candidi sta discutendo animatamente su qualcosa che riguarda gli animali domestici, le verdure e i diritti delle formiche, anche se dubito che siano questi i reali argomenti, ho capito solo pochi frammenti di frasi a causa del baccano che fanno gli Intrepidi.
Ai tavoli nel centro del salone sono radunati gli Eruditi. Siedono composti e non gesticolano come fanno i Candidi. Stanno discutendo di qualcosa ma in modo talmente pacato da non riuscire a sentire neanche una sillaba di quello che dicono.
Mi sporgo leggermente per cercare Caleb al tavolo degli Abneganti e i nostri sguardi si incontrano. Cerco di nascondere il nervosismo, ma lui sembra riuscire a vedere direttamente la mia anima. Mi sorride e mi fa l'occhiolino ed io inizio di nuovo a sentirmi più tranquilla, ma purtroppo la pace appena ritrovata sfuma rapidamente quando sento chiamare il suo nome.
Caleb si alza e io mi trovo a invidiare la sua calma e la sua sicurezza. Per lui è più facile, sa già quello che vuole, gli serve solo il coraggio per abbandonare la sua famiglia per seguire il suo amore per la conoscenza e trasferirsi negli Eruditi. Passano solo dieci minuti e vedo Caleb tornare al suo posto. Immaginavo di vederlo più rilassato e sereno, ma non è così, è pallido e anche da questa distanza vedo le sue mani tremare.
Sento una morsa allo stomaco e un brivido percorrere il mio corpo, come se un tornado ghiacciato si fosse formato sul mio collo e stesse scendendo lungo la mia schiena avvolgendomi con ghiaccio talmente freddo da sembrare incandescente.
Un volontario Abnegante chiama il gruppo successivo: due Intrepidi, due Eruditi, due Candidi, due Abneganti e poi me e Althea, la mia unica vera amica.
Ci guardiamo per un attimo, i nostri sguardi sono terrorizzati e io vorrei alzarmi ma i miei muscoli sembrano essersi disconnessi dal cervello. Althea mi prende per mano e mi trascina con sé fino davanti alla porta della mia saletta, la numero 8, lei si affretta a entrare nella numero 10.
Faccio un profondo respiro e apro la porta.
Le pareti della saletta sono coperte di specchi, io cerco di evitare di guardare la mia immagine riflessa che avanza titubante verso il centro della stanza, dove una poltrona reclinabile mi sta aspettando insieme a un'inquietante macchinario dal quale escono lunghi fasci di cavi.
«Non avere paura» mi rassicura l'uomo «non sono un dentista» aggiunge sorridendo, mentre mi fa segno di sedermi.
Mi siedo e sento l'uomo, un Abnegante di mezza età, canticchiare una canzone lenta e dolce che mi ricorda la ninna nanna che mi cantava mia nonna nell'inutile tentativo di farmi dormire di pomeriggio.
Canto mentalmente la stessa melodia e solo quando l'uomo mi chiede chi me l'ha insegnata, mi accorgo di aver iniziato a canticchiare a bocca chiusa.
«Me la cantava sempre la mia nonna materna per farmi addormentare.»
«Lo faceva anche mia madre ma con scarsi risultati» dice, mentre mi applica un elettrodo sulla fronte.
«Adesso, fai un profondo respiro e bevi» ordina, ma con un tono di voce così rassicurante da non farlo sembrare un ordine.
Prendo la fiala che contiene un liquido trasparente e lo bevo tutto d'un fiato, ripetendomi che prima lo faccio e prima uscirò da qui.
Sento la testa leggera e le palpebre pesanti. Gli occhi mi si chiudono.

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