CAPITOLO 30 (Prima Parte)

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Sarò tra i primi a sostenere il test finale.
Sebbene l'ordine sia stato stabilito sulla base dei punteggi attuali, Eric ha deciso di ignorare questa regola, anche se non capisco a che scopo.
Non m'importa di come la prenderanno gli altri iniziati, dopo quello che accadrà domani, la loro reazione sarà l'ultimo dei miei pensieri. La cosa che mi preoccupa è non poter vedere i miei compagni affrontare le loro paure, non mi interessa quali siano, ma il tempo che ci metteranno a superare i vari ostacoli. Essere tra gli ultimi sarebbe un vantaggio perché saprei come sono andati gli altri e quindi cosa dovrò fare per batterli.
Insieme saliamo il canale che dal Pozzo porta al palazzo di vetro.
La grande sala è già piena di Intrepidi, non pensavo di avere così tanto pubblico, ma pare che l'iniziazione sia crudele fino all'ultimo giorno. Tutti ci vedranno colpire il vuoto e sbiancare davanti al nulla. Poteva andare peggio, i monitor nella sala mostrano solo l'interno della stanza dove avverrà il test e non le nostre paure, quelle sono riservate solo ai capifazione.
Theia, guarda il lato positivo, penseranno che stai affrontando cani feroci o pericolosi aggressori e non fantasmi. Sono sicura di essere l'unica ad avere una paura così stupida.
Osservo i primi iniziati mentre gridano, piangono e si rotolano a terra, poi finalmente vengo chiamata.
«Ok, cerca di essere più veloce possibile ma senza destare sospetti» mi dice Eric chinandosi su di me e tenendo bassa la voce, «usa la logica per superare gli ostacoli e se non ci riesci o sei sul punto di perdere il controllo ricorda che non c'è niente di reale. Respira, cerca di calmarti, il tuo battito cardiaco rallenterà e passerai all'ostacolo successivo. Non crollare come hai fatto nello scenario di Lauren o il test si concluderà con un fallimento».
Annuisco. «Rapidità, logica e sangue freddo. Non è reale» ripeto più a me stessa che a lui.
Eric mi sorride e mi accompagna verso la stanza del test. Avrei preferito che mi stringesse, ma in fondo io sono ancora un'iniziata e la sala è piena di Intrepidi. Mi domando che differenza possa fare un test, tra dieci minuti sarò un'Intrepida e potremo uscire allo scoperto.
Dieci minuti o forse meno e finalmente farò parte di una fazione. È un pensiero strano, sono al mondo da sedici anni ma sono sempre stata ospite, prima dei Pacifici e ora degli Intrepidi. Solo dopo l'iniziazione si viene considerati membri effettivi.
«Cominciamo» esclama Eric mentre affonda l'ago nel mio collo e spinge lo stantuffo.


Il pavimento di cemento inizia a svanire inghiottito da una fitta nebbia, capisco all'istante cosa dovrò affrontare: i fantasmi. La prima dovrebbe essere la meno spaventosa, e se ci penso bene è così, ma è quella che ho quasi sempre terminato fallendo e risvegliandomi sul pavimento in preda al panico.
Sento un fruscio alle mie spalle e d'istinto mi volto. A pochi metri da me una figura evanescente mi osserva immobile. La sua pelle è bianca come il latte e le sue orbite sono vuote e nere come la pece. La paura mi paralizza e il cuore inizia a martellarmi nel petto, vorrei gridare ma non posso, Eric e i capi mi stanno osservando, devo restare calma o fallirò.
I fantasmi non esistono e lo sai benissimo. Continuo a ripetermi. Perché allora fanno parte delle mie paure? Cosa sono realmente i fantasmi e perché spaventano così tanto le persone? Sono i morti che tornano dalla tomba per perseguitarci, persone a cui abbiamo fatto un torto e che tornano da noi nel modo più spaventoso per regolare i conti.
Io non ho fatto del male a nessuno... non ancora.
Questo pensiero mi trafigge come una lama ghiacciata. La paura svanisce e un grande senso di colpa prende il suo posto.
Domani scoppierà una guerra, anche se non avrò un ruolo attivo la mia coscienza non è pulita perché non ho fatto nulla per cercare di evitarla.
«Mi dispiace» mormoro con le lacrime agli occhi.
Lo spettro piega la testa di lato e mi fissa. Io sostengo il suo sguardo, non in segno di sfida ma come chi è consapevole del male che ha fatto ed è pronto ad accettare di pagare per le sue colpe. Non imploro pietà, non la merito.
Vorrei poter chiedere perdono ma sono consapevole che chi se ne sta in disparte mentre il mondo piomba nel caos non lo merita e i sentimenti che provo per Eric, per quanto puri possano essere, non mi faranno ottenere il perdono di tutte le persone che verranno coinvolte nel crudele piano degli Eruditi. Sarò quella che ama un assassino, per tutti sarò un mostro come lui.
Con le lacrime che mi rigano le guance, mi avvicino a quella creatura. Ho sbagliato ed è giusto che ne paghi le conseguenze.
Questo pensiero mi fa sentire quasi in pace con me stessa. Espiazione. Fa stare meglio me ma non riporterà in vita tutti quelli che moriranno domani, però pare sufficiente a placare la rabbia di quella creatura. La sento sospirare e poi dissolversi lentamente svanendo nella nebbia.
Non ho fallito, la simulazione non si è interrotta, sono ancora avvolta dalla nebbia e circondata dall'oscurità. Non so come i capifazione interpreteranno quello che ho appena fatto. Sarà normale o da Divergente?
Sento crescere un senso di angoscia e nella mia mente si forma l'immagine dei capi che mi osservano con sguardo severo come nella paura di Lauren di essere cacciata dagli Intrepidi, da me trasformata in quella di essere scoperta come Divergente.
Scaccio immediatamente quel pensiero, se mi ci fisso potrebbe materializzarsi e per me sarebbe la fine.
Mi concentro su me stessa, la turbolenta Pacifica che presto diventerà un'Intrepida. Non so perché lo faccio, non ha senso, ma qualsiasi cosa è meglio della paura di Lauren.
La nebbia comincia a diradarsi, cerco di capire quale sarà il mio prossimo ostacolo da superare ma non ne ho il tempo, qualcosa mi colpisce al fianco facendomi cadere a terra. L'erba del bosco è svanita lasciando il posto a una superficie liscia, credo sia vetro ma non riesco a vederla perché è interamente coperta d'acqua torbida.
Scatto subito in piedi e cerco il mio aggressore, ma vedo solo me stessa ripetuta all'infinito. Sono nella stanza degli specchi, l'antro della Theia che temo di diventare, una donna crudele e spietata.
Alzo lo sguardo e lei è in piedi davanti a me. È diversa dall'ultima volta che l'ho affrontata, non è più la fusione di me ed Eric, ma sembro io trent'anni più vecchia. Non ci sono né piercing né tatuaggi sulla sua pelle, solo rughe e cicatrici.
Mi osserva sorridendo compiaciuta e la cosa mi destabilizza. Il suo sguardo dovrebbe essere freddo e il suo sorriso malvagio, mentre sembra Jeanine dopo il mio discorso su Eruditi e Divergenti.
La me stessa inizia ad applaudire, si sposta di lato ed io vedo la mia immagine riflessa.
Non sono io! Grido nella mia mente.
La ragazza che vedo nello specchio è coperta di sangue e si rigira tra le mani un lungo coltello mentre mi studia come farebbe un torturatore con la sua vittima.
Guardo in ogni direzione sperando di vedere la vera Theia, ma lei è ovunque. Incredula, mi guardo le mani e sono lorde di sangue.
Il mio incubo è diventato realtà, sono diventata un mostro e non ho dovuto fare nulla, ed è proprio questo il problema: non ho fatto niente per cercare di impedire l'imminente guerra.
No. Questa è solo la mia nuova paura. L'evoluzione di quella originale. Non è la realtà, non è ciò che sono. Posso ancora porre rimedio, in qualche modo anche se non so come.
La me stessa che continua ad applaudire è sempre la mia parte oscura, si è solo fatta più furba e sta cercando di farmi credere che io sono già come lei, che per me non c'è salvezza.
«No!» ringhio mentre mi scaglio contro di lei.
Non sono una persona orribile, non voglio fare del male a nessuno, la mia unica colpa è amare Eric e dentro di me sento che anche lui è vittima delle circostanze. Jeanine è l'unica colpevole di ciò che è diventato Eric e della guerra.
Colpisco quella donna che sembra me stessa adulta fino a quando non crolla a terra, fino a quando il suo volto non diventa una maschera di sangue. Lei continua a ridere come se essere picchiata a morte le piacesse. Quella risata sembra volermi dire che c'era anche lei quel pomeriggio nel magazzino, quando Eric mi ha picchiata, e che l'ha trovata una scenetta divertente. È orribile, non voglio più sentirla, devo chiuderle quella maledetta bocca.
Spingo la sua testa contro il pavimento e la vedo scomparire sott'acqua. Lei si dimena ma io non mollo la presa fino a quando ogni suo muscolo si rilassa e il silenzio cala di nuovo nella stanza.
Chiudo gli occhi e mi accascio sopra di lei. Respiro profondamente, sono stremata ma calma. Sento i battiti del mio cuore rallentare e i miei muscoli rilassarsi. Mi sento leggera, come se la gravità non esistesse, mi sembra di fluttuare nell'aria. È piacevole, forse è finita e quando riaprirò gli occhi sarò nella saletta delle simulazioni.
Purtroppo non è così. Non ho sconfitto la forza di gravità, non è aria quella che mi circonda, è acqua.
Sono in un'immensa distesa blu. Sotto di me le alghe danzano sulla sabbia bianca e piccoli pesci nuotano tranquilli intorno a me. Alzo lo sguardo e vedo la luce del sole che illumina debolmente l'oscurità che mi circonda.
Cerco di tenere lontana da me la paura di affogare. Non è reale, potrei respirare se volessi e non mi accadrebbe nulla, l'acqua non invaderebbe i miei polmoni perché non sono in un lago ma nella saletta delle simulazioni.
Comincio a nuotare verso la superficie, dapprima lentamente, immaginando di respirare, poi ricordo che i capi mi stanno osservando e questo comportamento potrebbe insospettirli, così comincio a nuotare più velocemente. Mi concentro sulla distanza. Se continuo a fissare sopra la mia testa, la superficie sembrerà sempre lontana chilometri, è così che funziona questa tortura, quindi chiudo gli occhi e nuoto. Dopo pochi secondi sento il calore del sole e il vento accarezzarmi la pelle.
Sono fuori. Penso riaprendo gli occhi e inspirando profondamente. Nuoto fino alla riva e mi sdraio sulla sabbia in attesa che la prossima paura si manifesti.
In un battito di ciglia, il sole, il cielo e le nuvole sono svanite, l'oscurità mi avvolge per l'ennesima volta.
L'aria fresca diventa calda e pesante, come se la camera fosse chiusa ermeticamente e l'ossigeno iniziasse a scarseggiare. So benissimo dove mi trovo ma non riesco a controllare l'impulso di muovere le mani per cercare un punto di riferimento. Lo trovo, è il legno del coperchio della bara in cui sono chiusa.
Lo colpisco con le mani chiuse a pugno fino a quando non cede e sento la terra iniziare a ricoprirmi. Sebbene sia consapevole che tutto questo non è reale, il mio cuore inizia a battere all'impazzata e i miei polmoni a reclamare più ossigeno. Scavo più velocemente e sento le mani bruciare come se fossero scorticate fino alle ossa.
Il dolore è così forte da sembrare reale e, per un attimo, penso che la simulazione sia solo l'allucinazione di una ragazza sepolta viva. Non cedo a questo pensiero assurdo, sento la terra entrarmi in bocca e nel naso, ma sto respirando, non potrei farlo se fossi davvero sei piedi sotto terra. Non mi fermo, stringo i denti e sopporto il dolore, presto sarò libera da questo incubo.
Finalmente le mie dita incontrano il vuoto. Ce l'ho fatta, sono fuori.
Esco dalla mia fossa e mi sdraio sul terreno umido, ma ancora qualcosa non va. É buio e c'è un forte odore di muffa e acqua stagnante. Il pozzo, la paura che ho affrontato nella mia prima simulazione e che si è ripetuta ogni volta che mi collegavano al computer. La conosco bene, so come superarla.
Resto sdraiata e lascio che l'acqua mi sollevi dal fondo mentre, lentamente, le pareti del pozzo si restringono. Devo solo aspettare che le pareti siano più vicine tra loro in modo da potermi arrampicare e raggiungere l'uscita.
La terra smette di tremare, apro gli occhi. Le pareti sono distanti abbastanza da rendere possibile arrampicarmi fino al piccolo cerchio di cielo azzurro sopra di me.
Inizio ad arrampicarmi, la roccia è scivolosa e ogni tanto perdo la presa, ma il pozzo è così stretto che la mia schiena va a sbattere contro il muro dietro di me impedendomi di cadere di sotto.
Arrivo in cima, scavalco il bordo del pozzo e spalanco le braccia facendo un giro su me stessa. È la mia danza della vittoria, un altro ostacolo superato, presto sarò di nuovo nella realtà.
«Abbiamo anche una Pacifica» esclama una voce che sembra provenire da tutte le direzioni.
«Ti sei trasferita per insegnare agli Intrepidi a suonare il banjo prima di finire tra gli Esclusi?»
È la voce di Eric. Mi guardo intorno ma non lo vedo. Mi sporgo oltre il bordo del pozzo aspettandomi di vederlo sbucare dall'oscurità facendomi sobbalzare, ma lui non c'è.
«Ci sarà da divertirsi» lo sento sussurrarmi all'orecchio mentre le sue mani si stringono attorno alle mie braccia.
Spingo di scatto la testa all'indietro e la mia nuca colpisce il suo naso. Lui grida e indietreggia.
Mi volto e davanti a me vedo Eric il sadico torturatore in tutta la sua crudele spietatezza. Il suo sguardo è feroce e il sangue che gli cola dal naso rende grottesco il suo sorriso.
Quello non è il tuo Eric. Mi ripeto. L'hai già incontrato nello scenario di Lauren. Non è Eric quello che hai davanti, ma un incubo creato dal siero.
So che è solo un'allucinazione e, purtroppo, so cosa devo fare, è questo che mi paralizza. Non la paura di essere faccia a faccia con la crudeltà fatta a persona, ma lo strazio di doverlo affrontare ed uccidere. Non posso scappare e cercare di calmarlo non servirà a nulla, lui non si fermerà fino a quando non mi avrà uccisa. Non ho scelta, se voglio superare il test, lui dovrà morire.
Lo guardo. Sembra una bestia feroce, non ha niente di umano ma ogni volta che i miei occhi incontrano i suoi rivedo il mio Eric e mi sento andare in pezzi.
Immagino la nostra lotta. Le mie mani che si stringono attorno al suo collo, il suo corpo che lotta disperatamente per sopravvivere ma, alla fine, cede e la vita abbandona i suoi splendidi occhi azzurri.
Non ce la faccio, so che non è reale, che è solo una simulazione, ma non ho la forza di ucciderlo.
Indietreggio fino a quando le mie gambe incontrano qualcosa di duro e freddo.
Il pozzo. La terza opzione: morire insieme.
Mi scaglio contro di lui e lo colpisco. Schivo un suo pugno facendo un passo indietro. Lo colpisco e continuo ad arretrare fino a quando non sento di nuovo il bordo del pozzo.
«È tutto quello che sai fare, femminuccia?» lo provoco.
Lui si scaglia contro di me ed io lascio che mi travolga. Il bordo del pozzo cede ed entrambi precipitiamo nell'oscurità.


Le luci si riaccendono. Sono sdraiata sul pavimento della stanza vuota con le pareti di cemento. La porta si apre e mi alzo. Max, Eric, Quattro e alcuni altri che non conosco entrano e si fermano davanti a me.
«Congratulazioni, Theia» esclama Eric. «Hai completato con successo l'esame finale.»
Mi rilasso, è andato tutto bene e finalmente posso dire di essere a casa. Sono un'Intrepida e d'ora in avanti questa sarà la mia fazione, sarà la mia casa.
«Ancora una cosa, prima di lasciarti andare a prepararti per il banchetto di benvenuto» continua lui, accompagnandomi fuori dalla saletta.
Davanti a noi c'è una donna con i capelli blu con in mano un astuccio nero. Lo apre ed Eric prende la siringa e l'ago contenuti al suo interno.
«Sto per inserirti un sistema di tracciamento che verrà attivato solo se sarai data per dispersa. È una semplice precauzione.»
So che in quel liquido arancione non c'è nulla, almeno per quanto mi riguarda, ma per il resto dei miei compagni di fazione, in quella siringa c'è l'inizio di un incubo.
Scosto i capelli e piego la testa di lato, Eric si avvicina con la siringa, mi strofina la pelle con un tampone disinfettante e infila l'ago. Sento una fitta profonda in tutto il collo, dolorosa ma breve. Lui ripone l'ago nell'astuccio e mi mette un cerotto.
«Adesso vai a casa» mi sussurra. «Ti raggiungerò appena avrò finito con i test.»

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