CAPITOLO 16 (Terza Parte)

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La mensa è quasi vuota, non importa, non mi serve l'intera fazione ma solo uno dei suoi membri: Eric.
Le modifiche alla classifica sono state fatte da uno dei nostri istruttori, sicuramente non è stato lui, ma sono certa che l'ordine è partito da lui. Questo vuol dire che per gli Intrepidi quello che è accaduto questa notte non è sufficientemente grave da dover prendere in considerazione un'indagine. Nessuno prenderà provvedimenti, Peter la farà franca e questo proprio non mi va giù.
Prendo un vassoio e salto la fila al buffet fregandomene delle lamentele degli Intrepidi. Mi fermo dietro a Eric che mi lancia una veloce occhiata.
«Come vanno i postumi della sbornia?» mi domanda come se nulla fosse.
«Come vanno le ricerche dell'aggressore di Edward?»
«Quali ricerche?» domanda, mettendo una fetta di pane tostato nel suo piatto.
«Eric, vuoi che inizi a gridare qui davanti a tutti o preferisci trovare un luogo con meno spettatori?» mormoro cercando di tenere a bada il mio veleno.
Lui mi guarda e sbuffa, sollevando gli occhi al cielo come se stessimo parlando di una inutile seccatura invece di un'aggressione avvenuta nella sua fazione.
«Va bene» sospira. «Aspetta che io sia uscito e poi raggiungimi nel deposito attrezzi vicino alla palestra.» Prende dal suo vassoio la tazza di caffè e abbandona il resto su uno dei tavoli della mensa.
Mi domando il motivo di tutta questa segretezza. Perché non possiamo andarci insieme?
La zona vicina alla palestra è sempre deserta, tutti preferiscono il Pozzo, nessuno ci vedrebbe entrare nel deposito. Solamente nei corridoi fuori dalla mensa e intorno al Pozzo c'è gente e non vedo cosa ci sia di strano in due persone che scambiano quattro chiacchiere. Sa benissimo che non gli mancherei mai di rispetto davanti agli altri.
Prendo la mia tazza di caffè e mi affretto ad uscire dalla mensa cercando di scacciare via l'idea che forse lui non vuole farsi vedere insieme a me, perché so che se ci pensassi finirei divorata da assurde paranoie.
Arrivata davanti al deposito trovo Eric seduto su una vecchia panca che beve il suo caffè con una tranquillità che mi manda in bestia. Un iniziato è stato aggredito ma per lui sembra una giornata come tutte le altre.
«Forza, parla, o meglio, aggrediscimi come fai di solito» dice, alzandosi e chiudendo la porta alle sue spalle.
«Tu non mi dai altre scelte. Edward è stato accoltellato, probabilmente da Peter e tu non stai facendo nulla!»
«Hai delle prove?» domanda con voce calma. Inizio a sentirmi presa in giro.
«No, ma chi altro potrebbe essere stato? Sai bene che tipo è, e in più, quando le urla di Edward ci hanno svegliati, lui non c'era nel dormitorio.»
«Interessante teoria. Se non ricordo male, tu e Peter avete avuto uno scontro parecchio acceso. Io stesso ho dovuto separarti da lui.»
«Eric, era un addestramento!» esclamo, ormai sul punto di perdere il controllo.
«Ottima scusa. Hai usato l'addestramento per aggredirlo in modo da passarla liscia e adesso cerchi di farlo sbattere fuori incolpandolo di quello che è successo a Edward.»
«Sai benissimo che non è vero! Perché fai così?» grido, cercando di soffocare il desiderio di tirargli addosso il caffè bollente. «Sei un capofazione, un iniziato dovrebbe far parte delle tue responsabilità.»
«Lui non è più una mia responsabilità.»
«Come?» domando allibita.
«Edward non è più in grado di continuare l'addestramento e quindi non può più far parte dei nostri iniziati.»
«Eric, sei fuori di testa? Un ragazzo è stato accoltellato. Non posso credere che non vengano presi provvedimenti!»
«Non sei più nella bambagia dei Pacifici, ora sei negli Intrepidi e se vuoi sopravvivere devi imparare a guardarti le spalle. Accettalo o vattene» dice, guardandomi con una freddezza che mi fa vacillare.
Io non capisco. Perché mi tratta in questo modo? È tornato ad essere il crudele Eric che tutti conoscono. Tutti tranne me. Lui non mi ha mai trattato con tanta freddezza.
Mi mordo il labbro per cercare di fermare le lacrime ma non ci riesco.
«Perché mi tratti in questo modo?» domando singhiozzando.
«In quale modo?» domanda. Il suo sguardo non è più freddo, ma annoiato. Mi fa sentire come se non contassi nulla per lui e questo mi manda in pezzi.
«Niente. Non ha importanza. Spostati, voglio uscire.»
Lui resta immobile con la schiena appoggiata alla porta. Probabilmente non vuole perdersi la patetica Pacifica che piange come una bambina perché ha finalmente capito di essere semplicemente un passatempo che adesso è diventato solo un noioso peso.
Mi scaglio contro di lui e inizio a colpirgli il petto con le mani strette a pugno.
«Sei solo un bastardo! Uno stupido bulletto senza cervello, freddo come il ghiaccio e probabilmente avevo ragione a pensare che fossi un deviato, no anzi, neanche quello, sei solo una grandissima carogna che si diverte a giocare con i sentimenti delle persone! Sei un mostro!»
Le sue braccia si chiudono intorno a me. Non fa nulla per fermare i miei colpi, si limita semplicemente ad abbracciarmi restando in silenzio.
Io continuo a colpirlo con rabbia perché quello che ha fatto non ha senso, prima mi tratta come se tra di noi non fosse mai successo nulla e poi mi stringe a sé.
Forse è solo un modo crudele per prolungare la mia agonia. Forse lui è come quegli assassini che uccidono le loro vittime soffocandole, stringendo le mani intorno al loro collo fino a quando non perdono i sensi e poi le rianimano e ricominciano da capo.
È questo il significato del suo abbraccio, mi sta solo rianimando per poi ricominciare a soffocarmi.
Alla fine mi arrendo e affondo il mio viso nel suo petto lasciando che le lacrime scendano come pioggia. Può farmi quello che vuole, non credo sarà in grado di ferirmi ancora di più.
«Ci sono delle regole che vanno seguite anche se non le troviamo giuste» dice, accarezzandomi i capelli. «È una cosa necessaria se vuoi andare avanti. Devi riuscire ad accettarlo, ma se pensi di non farcela, forse è meglio non proseguire.»
«Quindi se non lo accetto devo lasciare gli Intrepidi?» gli domando.
«Non mi riferivo agli Intrepidi.»
«Non capisco...» mormoro alzando lo sguardo. Davanti a me c'è di nuovo il mio Eric, quello con il sorriso angelico e gli occhi limpidi.
È troppo per me. I suoi cambiamenti d'umore iniziano ad essere devastanti. Scivolo via dal suo abbraccio e barcollo fino a una pila di vecchi materassini.
Lui si siede accanto a me e mi prende le mani tra le sue.
«Non sono come mi immagini e forse neanche come desideri che io sia. Ci sono molte cose che non sai di me e temo che non tutte ti piaceranno, ma sono cose che devo fare. Io sono sicuro che, con il tempo, riuscirai ad accettarle, ma non posso rivelartele fino a quando non sarò certo che non mi tradirai e...» si interrompe e mi guarda dritto negli occhi. Le sue labbra tremano come se avesse paura e i suoi occhi sono lucidi. Lo sento inspirare profondamente e, come se fosse la cosa più difficile del mondo ma allo stesso tempo una liberazione, esclama: «al diavolo!»
Mi prende tra le sue braccia e mi bacia con veemenza.
Non so e non mi chiedo se rivedrò ancora il gelido Eric, ma sento che se mi abbandono completamente a lui, non m'importerà più quale dei due si mostrerà a me, saprò che il ragazzo che mi sta stringendo a sé con tanta passione, sarà sempre dentro di lui.
La porta si apre di colpo e una figura scura entra senza neanche accorgersi di noi, almeno fino a quando non arriva a pochi passi dalla pila di materassini su cui siamo seduti.
È Quattro. Per un attimo ci osserva confuso, poi fa velocemente dietrofront e si richiude la porta alle spalle. Eric impreca e io inizio a averne piene le scatole di tutta questa segretezza.
«Perché non vuoi farti vedere con me?» gli domando contrariata.
«Cosa ti aspettavi? Passeggiate mano nella mano? Serate insieme al Pozzo? Sei ancora un'iniziata» esclama infastidito. Questa sua reazione conferma la mia ipotesi: non vuole far sapere a nessuno che usciamo insieme.
«Pessima scusa, da un Erudito mi sarei aspettata qualcosa di più credibile.»
«Non è una scusa» dice, sistemandomi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. «Io non ho problemi a lasciar pensare a tutti che sono stato io a farti entrare negli Intrepidi, ma tu?»
«Già mi guardano con sospetto per essermi piazzata quinta, figuriamoci se scopro che esco con te. Quindi...» faccio un profondo respiro, «non possiamo vederci fino a quando non sarò entrata?»
«Dovremo solo stare più attenti. Cosa ne dici di questa sera al fiume?»
«Non so se riuscirò a ritrovare la strada senza la mappa di Zeke» dico, sperando che si ricordi della lettera che mi ha confiscato. «L'hai distrutta?»
«No. Te la porto questa sera. Però dopo averla letta devi ridarmela. Se qualcuno la trova non potrò fare nulla per aiutarti.»
Annuisco e inizio a fantasticare sul mio primo vero appuntamento.
Ho bisogno di un vestito carino, un po' di trucco e i consigli di Althea su cosa fare e cosa evitare. Purtroppo lei non è qui ed io dovrò cavarmela da sola.


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