CAPITOLO 18 (Seconda Parte)

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Sono in ritardo ma sembra che nessuno abbia fatto molto caso alla mia assenza. Tutti sono seduti in silenzio e osservano la porta della saletta delle simulazioni.
Mi siedo accanto a Tris e osservo i miei nuovi compagni di iniziazione. Ne conosco solo tre, Uriah che è di fronte a me, Marlene seduta alla sua sinistra e Lynn alla sua destra. Zeke direbbe che è beato tra le donne ma non mi sembra molto a suo agio. Non credo sia per le due ragazze accanto a lui ma per quello che c'è dietro alla porta chiusa.
Interni e trasfazione sono stati tenuti separati durante il primo modulo, ma d'ora in poi ci addestreremo insieme, ce l'ha detto Quattro prima di sparire nella camera delle torture. Non ci sono mai entrata ma so cosa succede là dentro: un faccia a faccia con le proprie paure. Se non è una tortura, che altro può essere?
Dalla stanza in fondo al corridoio esce solo un mormorio, e ho il sospetto che anche questo faccia parte del gioco che a loro piace giocare con noi: terrorizzarci ogni volta che è possibile.
La porta si apre e Quattro mi fa un cenno. «Theia, tocca a te.»
Mi alzo e cammino velocemente verso la sala, voglio farla finita in fretta.
Dentro c'è una poltrona reclinabile di metallo, simile a quella su cui mi sono seduta per il test attitudinale, e lì accanto c'è la macchina che già conosco. La stanza non ha specchi ed è quasi al buio. Su un tavolo, nell'angolo, c'è il monitor di un computer.
«Siediti» mi invita Quattro, prendendomi per un braccio e spingendomi avanti.
«Che simulazione è?» chiedo, fingendo di non sapere nulla.
«Mai sentito la frase "affronta le tue paure"?» dice lui. «Noi la prendiamo alla lettera. La simulazione ti insegnerà a controllare le emozioni durante una situazione di paura.»
Mi tocco la fronte con una mano tremante. Le simulazioni non sono reali, non rappresentano una minaccia reale, per cui non dovrei preoccuparmi, ma dopo quello che mi ha detto Tori so che non è così.
Mi lascio cadere sulla poltrona e faccio un profondo respiro. Sono terrorizzata ancor prima di iniziare, spero che questo non aumenti il potere del siero.
Sento un picchiettio e giro la testa per vedere che cos'è. Quattro ha in mano una siringa con un ago lunghissimo, piena di un liquido arancione.
Ci siamo. Faccio un altro respiro profondo per cercare di calmarmi ma non serve a nulla, sto andando in panico ancora prima di iniziare.
Quattro mi spiega cosa succederà, ma è come se la sua voce provenisse da molto lontano. So già cosa capiterà, voglio solo che accada velocemente.
Mi sposta il braccio e infila delicatamente la punta dell'ago nella pelle morbida del collo. Un dolore profondo mi si diffonde in tutta la gola. Cerco di concentrarmi sul suo viso tranquillo.
«Il siero farà effetto entro sessanta secondi.»
Sono le ultime parole che gli sento dire prima di vederlo sparire insieme alla sala e tutto quello che contiene.

Sono in un posto buio e nell'aria c'è un forte odore di terra e acqua stagnante. Fa freddo e sono immersa fino alla vita nell'acqua torbida e melmosa. Pareti di roccia mi circondano e non mi ci vuole molto a capire dove mi trovo: sul fondo di un pozzo.
Alzo lo sguardo e vedo il cielo, sembra lontano chilometri, un piccolo cerchio azzurro alla fine di un lunghissimo tunnel.
Inizio a gridare per chiedere aiuto perché non si può fare altro quando si cade in un pozzo, solo sperare che qualcuno venga attirato dalle urla.
Grido fino a sentire la mia gola bruciare ma nessuno compare il quel piccolo cerchio di cielo. Vedo l'azzurro diventare arancione e poi, piano piano, scurirsi fino a diventare nero.
Quante ore sono passate? Da quanto sono qui? Troppo. È notte e la zona dei pozzi è lontana dal complesso dei Pacifici. Nessuno verrà a salvarmi, morirò qua sotto.
Scoppio a piangere e batto i pugni sulle pareti. Le sento vibrare, come se fossero vive ed si stessero lamentando per i miei colpi. Un rombo sale dal fondo del pozzo e tutto intorno a me inizia tremare. Sassi e terra iniziano a cadermi addosso, cerco di proteggere la testa con le braccia ma appena stacco le mani dalla parete, perdo l'equilibrio e cado all'indietro finendo sott'acqua. La sento entrarmi in bocca, ha un sapore disgustoso. Mi alzo di scatto e sbatto la testa contro la roccia della parete.
Tutto questo non ha senso. Penso quando mi accorgo che il pozzo si è ristretto di quasi un metro e l'acqua è salita: ora mi arriva quasi alle spalle.
Cerco di arrampicarmi ma le pareti sono troppo scivolose ed io troppo agitata.
L'allucinazione scompare solo quando ti calmi. Sento la voce di Eric nella mia testa.
L'acqua continua a salire, tra poco non riuscirò più a stare in piedi. Affogherò.
Theia, calmati. Sono solo allucinazioni, non corri nessun pericolo. Sento dire di nuovo dalla sua voce calma.
Chiudo gli occhi e lo immagino accanto a me. Mi sorride come nel sogno che ho fatto questa notte, quando nuotavamo insieme tra gli strani pesci di quel lago immenso.
Apro gli occhi, sono completamente sommersa dall'acqua torbida ma, davanti a me, a pochi centimetri dal mio naso c'è uno di quei pesci del sogno. Ha il corpo azzurro e una pinna gialla sul dorso, i suoi colori sono talmente intensi e brillanti che sembra quasi emettere un tenue bagliore.
Nuota tranquillo davanti a me e poi scende verso il basso. Senza rendermene conto lo seguo come ipnotizzata.
Man mano che avanzo nuotando, l'acqua si fa meno torbida fino a diventare cristallina e vedo della sabbia bianca sotto di me.
Mi fermo per guardarmi attorno, il pozzo è svanito e intorno a me c'è solo un'immensa distesa blu. Sono libera da quella prigione di pietra coperta di melma ma non dall'acqua che mi circonda e sembra non avere fine. Alzo la testa e vedo la luce del sole danzare pochi metri sopra di me. Sono salva, qualche bracciata e finalmente potrò di nuovo respirare.
Nuoto più velocemente possibile verso la superficie ma, anche se sento di muovermi verso l'alto, la luce sembra allontanarsi da me.
I muscoli mi fanno male e mi sento scoppiare, ho bisogno d'aria. Cerco di calmarmi per scacciare il bisogno di inspirare. So di non averne bisogno, di non essere ancora arrivata al limite, è il panico a farmelo credere. Mi piace nuotare sott'acqua sin da quando ero bambina e ho imparato molto sull'apnea e so che devo scacciare dalla mia mente il pensiero che non ce la farò. Devo restare calma.
Il cuore mi batte forte nel petto, devo farlo rallentare. Espiro un po' d'aria dal naso per far attenuare la pressione che sento sul mio torace.
Non è reale. Nuotando verso l'alto la superficie sia avvicina e non il contrario.
Nuoto, con tutte le forze che ho, il mio corpo grida dal dolore, i miei polmoni reclamano aria ma finalmente la luce si avvicina.
Calmati.
Vedo le nuvole sopra l'acqua increspata, ci sono quasi. Sono al limite, ma resisto all'impulso di respirare e finalmente sento il calore del sole sulla pelle.
Sono fuori, sono salva. Penso spalancando la bocca e inspirando profondamente.

Apro gli occhi e mi ritrovo seduta sulla poltrona di metallo. Il mio corpo è teso verso l'alto e la mia bocca è spalancata. Inspiro con talmente tanta forza da sentire i polmoni farmi male.
Una mano mi tocca la spalla e il mio braccio scatta, istintivamente, colpendo qualcosa di solido ma morbido e mi aggrappo ad esso. «Aria!» esclamo boccheggiando.
«È finita» mi rassicura Quattro. La sua mano afferra la mia delicatamente ma con fermezza. «Theia calmati, mi stai staccando un braccio.»
Come tutti quelli che stanno affogando mi sono aggrappata alla prima cosa che ho sentito, in questo caso il suo braccio, sul quale la mia mano si è chiusa come l'artiglio di un predatore.
«Scusami» dico, lasciando andare il suo braccio su cui le mie unghie hanno lasciato piccoli segni a forma di mezzaluna.
Il mio respiro è ancora affannoso e nella mia gola continuo a sentire il disgustoso sapore dell'acqua del pozzo. I miei muscoli fanno male, come se avessi davvero nuotato disperatamente per salvarmi la vita. In realtà non mi sono mai mossa da questa poltrona, ma è difficile accettarlo dopo quello che ho vissuto. Sembrava tutto spaventosamente reale, anche quello strano pesce che non ho mai visto se non in un sogno. Però, in qualche modo mi era familiare, sento che era qualcosa di reale e non inventato dalla mia mente.
«Eric ti aveva preparata?» domanda Quattro guardandomi con sospetto.
Non mi stupisco che ci sia arrivato. Lui è il tipo di persona che parla poco e osserva molto. Potrebbe essere più letale di Eric se volesse, ma è un bravo ragazzo e, a differenza del mio occhi di ghiaccio, di Quattro ci si può fidare.
«Mi ha solo spiegato come funziona la simulazione e cosa devo fare per superarla» ammetto candidamente. «Ma non credo di esserci riuscita come lui sperava.»
«Non sei stata perfetta come lui ma in qualche modo te la sei cavata.» Si leva gli elettrodi e li appoggia sopra la macchina per la simulazione.
«Quante paure aveva Eric?» non riesco a trattenermi dal domandare.
«Dodici» risponde.
«Come lo sai? Non mi sembrata esattamente amici voi due.»
«Il nostro istruttore ha deciso di darci il benvenuto attaccandoci a questa macchina» dice indicando il macchinario per le simulazioni. «Eric è stato il primo.»
«Anche lui si è svegliato urlando?» domando divorata dalla curiosità su come fosse Eric al suo primo giorno negli Intrepidi.
«No. Lui era calmo, sia durante che dopo la simulazione. È rimasto immobile per tutto il tempo e quando è arrivato alla fine, ha aperto gli occhi e ci ha guardato tutti con un sorriso pieno di boria.»
È molto strano, Eric mi ha fatto intendere che è normale svegliarsi in preda al panico, come mai per lui è stato diverso?
Eric non solo sapeva a cosa andava incontro, ma anche come superare l'allucinazione in maniera impeccabile. Le soluzioni possono essere solo due: non era la sua prima simulazione oppure è anche lui un Divergente. Non so quale delle due sia la più improbabile.
«Un momento, tu hai detto che l'istruttore vi ha dato il benvenuto con la simulazione, e il primo modulo?» domando.
Quattro mi guarda e sospira.
«Molte cose sono cambiate non solo nell'iniziazione ma anche nella fazione.»
«Che cos'è cambiato?» incalzo.
«I vertici. La persona che sovrintende all'addestramento stabilisce le norme di comportamento degli Intrepidi. Sei mesi fa Max e gli altri capi hanno adottato nuovi metodi per rendere l'addestramento più competitivo e più brutale. Dicevano che sarebbe servito per mettere alla prova la forza degli iniziati. Questo ha cambiato le priorità dell'intera fazione.»
«Eric» esclamo fissandolo dritto negli occhi. «È una sua idea.»
Quattro annuisce e sostiene il mio sguardo, sono io la prima ad abbassarlo.
Il ragazzo che amo è la causa di tutti i mali, se Eric non si fosse mai trasferito negli Intrepidi tutto sarebbe diverso, meno brutale e difficile. Questo mi fa vergognare di me stessa, solo un mostro può innamorarsi di un altro mostro.

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