CAPITOLO 12 (Terza Parte)

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È notte fonda e dovrei essere al dormitorio, ma non ho sonno.
Durante il ritorno in treno, Eric non ha detto una parola, per tutto il viaggio è rimasto in silenzio appoggiato alla parete del vagone. Non credo abbia preso bene la sconfitta, domani sarà più insopportabile del solito.
So già dove trovarlo, anche se è molto tardi, sono sicura che non riesce a dormire e ha bisogno di sfogarsi, c'è solo un posto dove può farlo.
Apro la porta della palestra e lo vedo colpire con rabbia il sacco da pugilato. La sconfitta di questa notte gli brucia parecchio a quanto pare.
Quando mi vede si ferma, mi lancia un'occhiata e poi riprende quello che sembra più un violento sfogo che un allenamento. Non è il caso di mettermi a scherzare con lui.
«Mi dispiace, avrei dovuto muovermi prima.»
Si ferma di nuovo, tampona il sudore con un asciugamano e poi lo appoggia sul sacco accanto al suo. È furioso, lo leggo nei suoi occhi, ma non perde il suo fastidioso ordine da Erudito. Chiunque avrebbe gettato l'asciugamano a terra, lui invece no, lo ripone con una calma che mi dà i brividi. Pensavo che la sua compostezza fosse una farsa, invece pare che la sua fazione di nascita lo domini ancora completamente.
«Ormai è andata» sbuffa.
«Ma tu non lo perdi mai il controllo?»
Mi guarda e solleva le spalle.
Dovrebbe essere una risposta? Un'alzata di spalle non è né un sì né un no. So che gli brucia, è inutile che fa finta di niente. Voglio vedere il vero Eric e non una delle sue maschere.
Schivo un suo pugno diretto al Mollychino e mi fermo davanti a lui.
«Smettila, non è colpa tua» dice spostandomi di peso e poi ricomincia a colpire il sacco.
«Sai che il Mollychino che stai colpendo dice che sei un ottimo capofazione? Questo qui invece, afferma che i tuoi pugni fanno il solletico e che dovresti darti al ricamo.»
Eric si ferma e mi guarda. Si morde il labbro inferiore, sta lottando contro un sorriso. Non pensavo bastasse così poco.
Fa qualche passo di lato, si posiziona davanti al Mollychino che gli ho indicato e inizia a colpirlo.
Scoppio a ridere e lui finalmente si lascia scappare un sorriso. Non credo laverà via il dramma Intrepido di aver perso a strappabandiera ma almeno riesco a vederlo sorridere. È bellissimo quando smette di fare il gelido Eric e abbassa la guardia. I suoi occhi si illuminano ed è quasi impossibile pensare che lui sia la stessa persona che ha appeso Christina a una passerella e che ci tormenta tutti i giorni.
La Dualità. Ora riesco a vederla chiaramente, ma solo per un breve istante, purtroppo Eric riprende il controllo e il suo sguardo torna ad essere minaccioso e inquietante.
«Vieni sempre qui quando sei nervoso?»
Annuisce continuando a guardarmi ed io ho la sensazione che stia aspettando qualcosa da me. È un Erudito, dovrebbe avere una buona parlantina ed essere una fonte inesauribile di argomenti, ma credo che non sappia cosa dire e sta sperando che sia io a guidare la nostra conversazione.
«Io mi arrampicavo sugli alberi o, se ero particolarmente arrabbiata, attaccavo briga con qualche Pacifico che di pacifico aveva ben poco» confesso.
«Qui non ci sono molti alberi... però c'è una torre...»
«Mi arrampicherò su quella! Dov'è?» esclamo. Me ne pento subito ma, per stare vicino a lui e vederlo sorridere di nuovo, farei qualsiasi pericolosa assurdità tipica degli Intrepidi.
«Attenta, hai appena accettato di giocare a Sfide.»
Prende la sua giacca e mi fa segno di seguirlo.



Usciamo dalla palestra e imbocchiamo un corridoio. Ora non ho più bisogno di appoggiarmi alla parete per non rischiare imbarazzanti cadute, mi sono abituata alla poca luce e ai pavimenti scavati nella roccia.
Il corridoio termina con una porta di metallo. Eric prende delle chiavi dalla tasca della giacca e la apre. Saliamo su per una scala di metallo mezza arrugginita fino a fermarci davanti a un'altra porta. Quando Eric la apre sento il vento fresco sulla mia pelle.
Siamo sul tetto del complesso residenziale e, a qualche decina di metri da noi, vedo una sagoma scura che alla pallida luce della luna sembra un'illustrazione di un libro di racconti di paura.
«Prima le signore.»
«Lo fai per prendermi se cado o per vedermi meglio cadere?»
«Lo faccio per essere certo che non ti tiri indietro» risponde, sfoggiando un sorriso non meno inquietante della torre nera che ci sovrasta.
«Io tirarmi indietro? Tu sogni!»
«Le regole. Se guardi in basso dovrai scendere e ricominciare. Se cadi, sono affari tuoi e se ti tiri indietro...»
«Devo abbandonare gli Intrepidi?» domando ridendo.
«No. Paghi pegno.»
«Fammi indovinare, non c'è modo di sapere prima in cosa consiste il pegno.»
«Esatto.»
Inizio ad arrampicarmi. La pietra è dura e liscia, non è facile come arrampicarsi su un albero, ma noto grossi chiodi arrugginiti spuntare dal muro di mattoni. Non sono messi a caso, sembrano formare una scala, o meglio, la versione Intrepida di una scala.
Li hanno messi per questo motivo, scalare questa torre deve essere una specie di iniziazione non ufficiale degli Intrepidi. Il loro modo per vedere se hai abbastanza fegato per entrare nella loro cerchia di amici.
L'arrampicata è più dura di quanto pensavo. Gli alberi hanno rami a cui appoggiarsi per riprendere fiato, questa torre va scalata senza fermarsi o si rischia di perdere l'equilibrio anche senza guardare in basso. Mi chiedo se qualcuno ha mai fatto la sciocchezza di guardare giù; è il modo migliore per cadere e rompersi tutte le ossa.
Finalmente arrivo sulla cima e vedo una figura scura davanti a me. Lo spavento mi fa sbilanciare all'indietro e perdere la presa. Mentre le mie mani cercano di aggrapparsi al nulla, la mia mente si prepara al doloroso, e probabilmente letale, impatto con il cemento.
Sento delle mani che mi afferrano per le spalle e un attimo dopo mi ritrovo seduta all'interno della torre.
«Non so se devo interpretarla come una caduta oppure no.»
Alzo lo sguardo e vedo Eric chinato sopra di me.
«Come hai fatto ad arrivare qui prima di me?»
«Ho preso le scale» risponde, indicando una botola a pochi passi da noi.
«Io rischio la vita da vera Intrepida e lui prende le scale da bravo Erudito!»
«Una vera Intrepida non si sarebbe spaventata rischiando di volare di sotto» puntualizza in modo meno fastidioso del solito.
«Eric, onestamente, in quanti hanno reagito nel modo che hai appena descritto?»
«Non lo so. Di solito nessuno usa le scale.»
«Quindi sei tu quello che paga pegno. Secondo la logica assurda degli Intrepidi, non ti sei arrampicato e quindi non hai superato la prova!» esulto.
«No. Io ho lanciato la sfida e...» si interrompe, riflette per qualche secondo e poi conclude: «Ok. Accetto di pagare pegno».
Sarò una verginella Pacifica ma ho già capito quale pegno spera di pagare. Se lo può levare dalla testa. Non sarebbe un pegno ma un premio.
«Parliamo.»
«Vuoi discutere con me il pegno?» domanda ingenuamente.
«No. Il pegno è parlare di te.»
Eric mi guarda perplesso. È una cosa che non si aspettava e sono certa che non è tra le cose che ama fare. Non mi piace usare un gioco come scusa per sapere qualcosa su di lui, però credo che sia l'unico modo per conoscerlo più a fondo.
«Vieni con me.»
«Cosa? No! Devi pagare pegno! Non puoi scappare così!»
Eric sbuffa alzando gli occhi al cielo e mi prende per mano. Scendiamo una rampa di scale e quello che vedo non mi entusiasma molto.
Siamo in una piccola stanza illuminata solo da una torcia elettrica appoggiata su un mobiletto di legno, unico arredo della stanza, a meno che non si considerino dei materassini da palestra parte dell'arredamento. In ogni caso sembra un luogo più adatto a fare che a parlare.
Non ho nessuna intenzione di riprendere quello che abbiamo interrotto in palestra. Lascio andare la sua mano e vado verso la rampa di scale che scende al piano sottostante.
«Dove stai andando? Non dovevo parlarti di me?»
«Mi credi davvero così ingenua?» domando in tono acido.
«Nato negli Eruditi diciotto anni fa, membro degli Intrepidi da due anni e capofazione da uno» dice, sdraiandosi su uno dei materassini, poi aggiunge: «Cos'altro vuoi sapere?»
Forse vuole solo parlare ed io sono solo una stupida paranoica a pensare che nasconde ben altre intenzioni. Mi siedo sul mobiletto e chiudo il giubbino fino al collo. Ormai siamo in estate ma le notti sono ancora fresche.
«Perché hai scelto gli Intrepidi?» domando.
Eric si alza e si avvicina. Mi guarda negli occhi mentre si china su di me.
Come volevasi dimostrare.
Apre l'anta del mobiletto e tira fuori una vecchia coperta.
Sono paranoica, devo smetterla di pensare male di lui solo perché...
Non mi lascia il tempo di finire il pensiero. Mi solleva con un braccio e mi porta sul materassino. Lo guardo di traverso per fargli capire che non ho intenzione di riprendere da dove avevamo interrotto qualche notte fa in palestra.
«Se vuoi gelare, fai pure» dice sdraiandosi.
So che me ne pentirò.
Mi sdraio accanto a lui e mi lascio avvolgere dal suo abbraccio. Fa freddo e lui è così caldo e invitante che è impossibile resistergli.
«Il test attitudinale ha dato come esito Intrepido.»
«Non sembri un'idiota senza cervello.»
«Neanche tu, eppure sei qui.»
«Visti da fuori sembrate eroi, arditi e liberi. Mi avete affascinata.»
«Da come parli sembra che il risultato del tuo test non sia stato Intrepidi. Che risultato hai avuto?» domanda stringendomi di più a sé.
«Pacifici. Condannata a noia eterna in una fazione di suonatori di banjo sempre sorridenti.»
«Quindi non hai seguito il suggerimento del test, come mai?»
«Ho preferito seguire il mio istinto e non dimenticare che sono in missione segreta per scovare il pazzo furioso.»
«Non l'hai ancora catturato?» domanda divertito.
«È un'osso duro, ha neutralizzato il mio esercito di Mollychini.»
«È vero. Resti solo tu adesso» mormora sfiorando le mie labbra con le sue.
«Anche io sono un osso duro» dico, prima di abbandonarmi completamente ai suoi baci.
Le nostre labbra continuano a sfiorarsi lentamente in piccoli casti baci ed io mi arrendo a questo assurdo sentimento capace di farmi fare tutto ciò che vuole. Non posso batterlo, né farmelo amico, ormai ho capito che posso solo arrendermi e lasciare che mi trascini via con sé. Tutto quello che la mia parte razionale mi aveva imposto di non fare è stato spazzato via. Non mi importa cosa accadrà, se per lui sono solo uno sfizio oppure no, se farà ciò che deve e poi mi scaricherà. Voglio vivere fino in fondo questo momento con lui.

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