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Non appena sento Nash frenare e fermarsi un attimo, apro nuovamente gli occhi. Siamo a poca distanza da un laghetto, immersi nella natura e lontani da tutto e da tutti; l'aria che mi muove i capelli e che si scontra sul viso è fresca e rilassante e l'unico rumore che si percepisce è quello del vento tra le foglie degli alberi.

«Siamo arrivati» sussurra Nash seduto sulla vecchia bici. Scendo finalmente dal palo scomodo e mi sistemo velocemente, spostandomi vicino a Nash e rimanendo al suo fianco. Rimaniamo in silenzio come se non volessimo rovinare la splendida atmosfera che ci circonda, camminando lentamente e riempiendo i nostri occhi con il meraviglioso spettacolo naturale intorno a noi. Raggiungiamo un piccolo porticciolo di legno, rovinato dal tempo e dall'acqua che lo circonda. Nash appoggia la bicicletta contro uno dei primi pali di legno che lo delimitano e poi, insieme, ci sediamo alla fine del porticciolo, lasciando le gambe a penzoloni con la punta delle scarpe che quasi sfiora il pelo dell'acqua. Rimaniamo in silenzio a fissare il vuoto per un lasso di tempo che potrebbe essere infinito, come anche l'esatto contrario; quindi decido di rompere il ghiaccio.

«Che facciamo?»

Alla mia domanda Nash abbandona il capo facendolo dondolare un po' prima di puntare di nuovo gli occhi davanti a sé e sospirare.

«Non lo so» dice infine sospirando. «Pensavo potessimo parlare, mettere in chiaro alcune cose, dato che adesso siamo solo io e te» riprende sottolineando le ultime due parole.

«Ehm, okay. Va bene» rispondo alla fine. «Che... di che cosa volevi parlare?»

«Beh, di noi due.»

Il mio cuore manca di un battito non appena Nash inizia a parlare.

«Okay» sussurro sciogliendo il groppo in gola. «Io, beh, io direi che dobbiamo... che dobbiamo smetterla.»

«Lo direi anche io,» mormora. «Lo direi anche io se fosse possibile smettere veramente.»

Mi giro verso di lui con uno sguardo confuso sul viso.

«Perché? Non è così difficile dare un taglio a ciò che facciamo» ribatto scocciata.

«Spiegami come, allora. È da settimane che diciamo di smetterla e siamo allo stesso punto di prima» risponde a tono.

«Puoi trovare anche tu una soluzione. Anzi, dovresti trovarla tu, dato che sei tu quello che mi si butta sempre addosso.»

Nash è sul punto di controbattere, gli occhi chiari che mi fissano intensamente, ma lo fermo prima che possa continuare alzando in aria una mano.

«Non provare a dire che non è vero. Pensa a cosa hai fatto ieri e poi ne riparliamo» ringhio. Lui abbassa lentamente lo sguardo sconfitto, sapendo che non può dire nulla riguardo cosa è accaduto giusto l'altra sera.

«Hai ragione» ammette forse per la prima volta. Rimane con lo sguardo sull'acqua per ancora qualche secondo, prima di fissarlo nel mio.

«Solo che... non lo so...» sospira. «Lo sai anche tu che questa cosa che c'è fra me e te,» dice indicando lo spazio che ci separa, «non si può evitare.»

«Stai dicendo che non riusciremmo a controllarci?» domando cercando di mantenere la calma. «Nash, non siamo animali.»

«Lo so, però ammetti anche tu di non essere indifferente a questo.»

Rifletto sulla sua affermazione, perdendomi tra i vari ricordi che ritornano a galla, arrivando alla conclusione che ha ragione.

«Sì, è vero» confesso infine, sentendo gli occhi bruciare e riempirsi di lacrime.

My hero wears  Vans || Nash GrierDove le storie prendono vita. Scoprilo ora