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«Ciao, Alex» mi saluta solare Shawn, nascondendo le mani nelle tasche dei jeans.

«Ciao, Shawn» ricambio il saluto cercando di non lasciar trasparire la rabbia che ancora insiste a non andarsene. Ancora non capisco perché Nash debba fare sempre il difficile nei momenti meno adatti. Gli ho accennato della mia idea, del progetto "amici", ma quando gliel'ho detto ha perso le staffe. Se solo sapessi cosa passa per la testa di quel ragazzo...

«Tutto bene?» mi domanda Shawn notando evidentemente il mio stato morale.

«Circa. Ho appena litigato con Nash.»

«Ah, mi dispiace» dice un po' a disagio, strofinandosi la nuca.

«Tranquillo. Con lui non faccio altro che discutere, quindi mi ci sono abituata» sorrido cercando di metterlo un po' più a suo agio con un po' di umorismo. Lui ricambia il sorriso accompagnato da una risata, poi, dondolando sui talloni chiede: «Cosa ti va di fare?»

Ci penso un attimo e la prima cosa che mi verrebbe da proporre sarebbe andare a prendere un frappé nella gelateria qui vicino, ma praticamente ci vado sempre quando esco con qualcuno, quindi decido di optare per qualcosa di diverso dal solito e ordinario gelato.

«Direi di fare qualcosa di diverso» propongo alla fine senza aver realmente detto cosa mi piacerebbe fare.

«Tipo?» domanda Shawn.

«Sinceramente non saprei. Mi va bene tutto, tranne andare in gelateria.»

«Starbucks?» propone immediatamente Shawn, come se ci avesse già pensato di andare lì. Non so da quanto tempo non entri in uno di quei posti facendo arrabbiare il cameriere di turno che scriveva "Alessia" sempre nel modo sbagliato, però non è una brutta idea. Potrei far saltare i nervi a qualche nuovo barista, così da far passare i miei di nervi.

«Perfetto. Penso sia da una vita che non ci vado.»

«Fantastico, allora» esclama Shawn con gli occhi che gli brillano. Sorrido ampiamente e poi insieme ci dirigiamo verso lo Starbucks più vicino. Durante il tragitto ci perdiamo in conversazioni senza senso, altre più serie; ci ritroviamo a parlare dove vorremmo vivere, quale personaggio famoso vorremmo essere o da quale vorremmo essere adottati.

«O Johnny Depp o Leonardo DiCaprio, senza ombra di dubbio.»

«Non male» sorride Shawn. «Sarebbero due padri fantastici.»

«Penso che DiCaprio mi stresserebbe un sacco se fossi sua figlia» dico mentre vedo in lontananza la grande scritta "Starbucks".

«Perché?» domanda incuriosito Shawn.

«Perché continuerebbe a rompere con la storia degli Oscar, di quanto sia bravo e che sia ingiusto che nessuno l'abbia ancora riconosciuto come merita.»

Shawn scoppia a ridere. «Ma l'Oscar l'ha vinto.»

«Lo so, e sono felicissima per lui» dico continuando il mio pensiero. «Ma se non fosse andata così, credo girerebbe per casa sempre arrabbiato e col muso lungo, sostenendo quanto la giuria sia incapace di compiere il suo lavoro.»

«Beh, me lo saprai dire quando ti adotterà» ridacchia.

«Per mia fortuna un Oscar l'ha già vinto, quindi per un po' dovrebbe star buono.»

Quando arriviamo davanti all'entrata del negozio, Shawn si precipita davanti a me per tenermi la porta aperta.

«Ti ringrazio» mormoro percependo il calore delle guance aumentare e aumentare.

Lui mi sorride semplicemente e mi segue fino alla prima cassa.

«Buon pomeriggio» esclama la commessa con troppo mascara e il viso sommerso di fondotinta. «Potrei prendere le vostre ordinazioni?»

My hero wears  Vans || Nash GrierDove le storie prendono vita. Scoprilo ora